sabato 5 febbraio 2011
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A Trebisonda la piccola comunità cattolica, una quindicina di battezzati quasi tutti giovani, ricorda con gratitudine don Andrea Santoro. Ma l’eredità più grande lasciata a questi fedeli dal missionario romano non è un vago senso di commemorazione, bensì «il desiderio di essere sempre autentici testimoni delle fede cristiana». A raccontare la situazione attuale attorno alla chiesa e alla casa «dove tutto ancora parla di don Andrea» è don Flavio Pace, giovane sacerdote dell’arcidiocesi di Milano, che in questi giorni si trova a Trebisonda per un ritiro guidato da don Angelo De Donatis, assistente dell’Associazione Don Andrea Santoro, assieme anche alla sorella del sacerdote ucciso cinque anni fa, Maddalena.«Nel punto dove è stato ucciso c’è un piccolo segno che ricorda l’evento – racconta don Pace – ma qui la gente preferisce coltivare la memoria di don Andrea con la testimonianza viva giorno per giorno, attraverso l’accoglienza, l’ascolto, la disponibilità verso chi ha bisogno. È questo il frutto più autentico dell’opera di don Andrea». Molti, anche tra i musulmani, arrivano nella chiesa di Trebisonda chiedendo se è quello il luogo dell’uccisione del «prete cattolico»; tra loro molti chiedono scusa: «Ma la piccola comunità non vuole essere conosciuta solo per l’omicidio del sacerdote – nota don Flavio Pace –; vorrebbero essere conosciuti per la loro testimonianza di fede, consapevoli che solo così onoreranno la memoria di don Santoro».In questi giorni il piccolo gruppetto di sacerdoti che partecipa al ritiro è un vero dono per i fedeli di Trebisonda: «Non nascondono il desiderio di avere fra loro la presenza stabile di un pastore – aggiunge don Pace – anche se le condizioni attuali non lo permettono. Qui è evidente quella domanda di accompagnamento spirituale che spesso in Occidente si è sopita. Da giovane sacerdote – nota ancora don Pace – venendo qui e leggendo gli scritti di don Santoro ho respirato la necessità di riscoprire l’appartenenza a Cristo, non come semplice riferimento valoriale, ma come radice fondamentale d’identità. È proprio vero, qui don Andrea non ha costruito la "sua" comunità, ma la comunità di Cristo».«Don Andrea diceva sempre che l’identità cristiana non è territoriale, né culturale», nota Maddalena Santoro. «A volte, vedendo l’aumentare delle violenze contro i cristiani, umanamente verrebbe da pensare che la morte di don Andrea sia stata inutile – aggiunge –. Ma non è così. Le maldicenze, le repressioni, le persecuzioni sono il segno, forse, che chi testimonia con l’accoglienza la fede fa paura, destabilizza. Per questo i martiri sono sempre stati il segno di una fede autentica». Un ragazzo della comunità locale, aggiunge la sorella di Santoro, «mi ha detto che la morte di don Andrea ha aumentato la stima di cui i cristiani godono, ma sono aumentate anche le piccole "persecuzioni". Segno che in Oriente la presenza cristiana è davvero "profetica" perché portata da persone che si presentano come "familiari", aperte all’accoglienza e all’incontro».Oggi a Trebisonda sarà il sacerdote fidei donum milanese don Giuliano Lonati a presiedere la Messa di suffragio. Sul libro delle firme, nella chiesa dove è stato ucciso don Santoro, nei giorni scorsi l’arcivescovo di Smirne, Ruggero Franceschini, ha lasciato il suo messaggio personale: «Festa della luce! E di luce viva si tratta veramente, quella che emana dal ricordo di te e della visita ai tuoi luoghi, padre Andrea. Guardaci dal cielo! Fa’ che noi sappiamo attendere il Signore "luce delle genti" e accoglierlo, come Simeone e Anna, come i tanti che lo cercano! Fa’ che la Turchia veda! Grazie per quanto continuerai a donarci!».
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