venerdì 5 dicembre 2008
Una città «spezzata», le cui «isole» non riescono a entrare in comunicazione, e in cui domina la solitudine e l'indifferenza. Nel tradizionale discorso alla città l'arcivescovo chiede ai cittadini e alle autorità di tornare ad «ascoltarsi».
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«Quando la incontro nei suoi quartieri, nelle sue parrocchie e associazioni, nelle sue espressioni di impegno sociale e civile, nei luoghi dell'educazione e della sofferenza, mi pare che si presenti come una grande città fatta da tante piccole isole, spesso non comunicanti tra di loro». Queste le parole del cardinale e arcivescovo Dionigi Tettamanzi su Milano per il tradizionale "Discorso alla città" pronunciato nella basilica di Sant'Ambrogio e incentrato quest'anno sul tema del dialogo che il cardinale, davanti a fedeli e autorità cittadine, ha definito «vera e propria emergenza del nostro tempo, a Milano e non solo».Tettamanzi ha aperto il suo discorso con alcune domande: «È ancora possibile un dialogo?», anzi: «È ancora possibile il dialogo?». E ancora: «Quanto oggi siamo disponibili a considerare il dialogo uno strumento importante per il nostro vivere personale e sociale?». Il cardinale ha parlato delle «periferie distanti dal centro, le istituzioni percepite come lontane dai cittadini, i giovani che rischiano di essere separati dagli adulti, i "nuovi venuti" non in piena comunicazione con chi è milanese da più tempo, chi ha un lavoro sicuro e ben remunerato disattento a chi è precario o disoccupato, chi ha una casa da abitare con la propria famiglia ignaro del grave disagio di chi non riesce ad ottenerla, chi è sano e a volte è insensibile rispetto a chi vive il dramma della malattia. Mi vien da concludere: quante fatiche subisce il dialogo nella nostra Milano!», ha proseguito il cardinale.Tettamanzi ha quindi ammonito: «Il dialogo autentico esige l'attenzione all'altro, la propensione ad ascoltarlo e perfino a comprenderlo, anche quando non se ne condividono le vedute. Non è semplice dialogare. Mette in gioco tutto di noi stessi: l'identità, la storia, la persona. La relazione nel dialogo non può essere generica: ha bisogno di un "tu", ma anche di un "io", di una persona che, non avendo paura dell'altro, si lascia coinvolgere in questa esperienza che rende unico e contraddistingue l'essere umano dal resto del creato. Il libro della Genesi, al suo inizio, mostra come Adamo diventi pienamente uomo quando può entrare in dialogo con Eva, suo simile, e con Dio, il Creatore: l'uomo è costitutivamente un essere-in-dialogo. Il dialogo ci immette nel mistero della reciprocità e della prossimità. Così ciascuno, dialogando,mostra il proprio volto più autentico».
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