Cento anni, 91 dei quali dedicati a rispondere a una chiamata. Sin da quando, all'età di 9 anni, monsignor Antonio Rosario Mennonna, il più anziano vescovo italiano e uno dei più anziani al mondo, entrò in seminario a Benevento. Nato il 27 maggio 1906 a Muro Lucano (Potenza), per sette anni fu pastore della sua diocesi d'origine, prima di guidare, dal 1962 e per ben 21 anni, la Chiesa pugliese di Nardò (dal 1986 poi unita a quella di Gallipoli). Autosufficiente, complessivamente in buona salute, parla volentieri Mennonna. E domani saranno in tanti a Muro Lucano a festeggiarlo.
Eccellenza, lei è sacerdote da 78 anni e vescovo da 51; la sua vita ha incrociato quella di nove Papi, molti dei quali ha conosciuto di persona; ha ordinato più di 70 sacerdoti, ha scritto 15 libri e 11 lettere pastorali. È tra i pochissimi vescovi viventi nominati da Pio XII: quali momenti della sua vita ecclesiale le restano vivi?«Senz'altro quello della mia ordinazione sacerdotale: ha rappresentato l'aurora della mia vita, che si rinnovava ogni volta che procedevo nell'ordinazione di un prete. Né posso dimenticare la consacrazione a vescovo e la permanenza nella mia stessa diocesi di Muro Lucano, dove ho desiderato tornare dopo l'esperienza nella straordinaria diocesi di Nardò, dove ho potuto servire la Chiesa con sacerdoti e laici zelanti. E che dire poi della gioia intima provata nel primo incontro con Giovanni XXIII: sprigionava e sollecitava affetto, da padre buono qual era».
Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: tanti carismi, tanti modi di servire il popolo di Dio. A chi si sente più vicino?«In questi lunghi anni si sono avvicendati Papi che hanno saputo interpretare i tempi della travagliata nostra storia e porre la Parola come messaggio di pace, di giustizia e di speranza. Pio XII con l'austerità del magistero; Giovanni XXIII con la bontà dell'animo; Paolo VI con la cultura della fede; Giovanni Paolo II con la missionarietà della testimonianza; Benedetto XVI con la saldezza teologica. Giovanni Paolo I, conosciuto da vescovo durante il Concilio per la vicinanza dei nostri scranni, era una persona semplice, dolce e affabile. A tutti mi sento vicino».
E sul piano dei ricordi...«Pio XII mi ha nominato vescovo e Giovanni XXIII mi ha concesso diverse udienze, durante le quali ricordava di essere venuto a Muro Lucano. Questo evento è stato rievocato alla presenza del caro confratello Loris Capovilla con una lapide nella mia parrocchia. Diverse, poi, sono state le udienze con Paolo VI, che ha gradito le mie pubblicazioni, e con Giovanni Paolo II, cui è legata la benedizione della statua della Madonna della Pace, a seguito di un pellegrinaggio della diocesi di Nardò».
Lei ha partecipato ai lavori del Concilio Vaticano II. Un evento, si è detto, i cui frutti non abbiamo ancora raccolto del tutto: che esperienza è stata? «Il Signore, tramite papa Giovanni, ha voluto gettare semi sia per i credenti sia per i non credenti. Come la parabola, i semi sono caduti in terreni diversi e diverse sono state e e continuano ad essere le colture. Ognuno di noi non può ritenere di aver completato nella pienezza la Parola di Dio. Non dimentichiamoci che siamo in cammino e che l'interpretazione e la sperimentazione sono in movimento. Per quanto riguarda me, sono stato sempre presente e ho seguito con profonda umiltà i lavori, ai quali ho cercato di dare qualche contributo, spesso tramite il presidente della Conferenza episcopale pugliese, monsignor Enrico Nicodemo, e con la consapevolezza che lo Spirito Santo ci illuminava e ci guidava. Si è vissuta la comunione della fede e della ricerca: quale più esaltante esperienza da vivere anche oggi?».
Da vescovo lei si è sempre speso per sostenere le vocazioni. Quali ragioni l'hanno indotta, negli anni '20, a diventare sacerdote e come le racconterebbe a un giovane seminarista di oggi?«La mia famiglia profondamente cristiana e la presenza di validi sacerdoti quali educatori, sono state le condizioni in cui ho potuto formarmi e rispondere alla chiamata del Signore. Molte delle mie ragioni vocazionali sono al di fuori della cultura di oggi e dell'ambiente in cui i giovani vivono. Potrebbero non servire a niente. Al giovane seminarista, pertanto, non indicherei i percorsi della mia esperienza, ma, benedicendolo, gli direi soltanto: ascolta il Signore e non temere».
Come vede il futuro della Chiesa guidata da Benedetto XVI?«Dopo il grande messaggio di apertura al mondo, la nostra Chiesa, sotto la guida di Benedetto XVI, sarà più riflessiva e attenta. Continuerà ad aprirsi al mondo, ma privilegiando le coscienze dei dialoganti».
Come vive il suo sacerdozio oggi? Come si svolge la sua giornata? «Fisicamente preferisco non muovermi da casa; cerco comunque di camminare almeno per due chilometri al giorno. Con la mente e con il cuore attraverso le case della mia Muro e dell'amata diocesi di Nardò, benedicendo soprattutto gli anziani e i giovani a rischio. Dedico buona parte della mia giornata alla preghiera, compresa la celebrazione della Messa. Qualche volta impartisco anche il sacramento della Cresima. Data la mia debole vista, riesco a leggere solo i titoli grandi di
Avvenire; qualche articolo mi viene letto da mio nipote. Ascolto ogni ora il radiogiornale e rimango indifferente alla televisione. Quando ricevo visite mi piace dialogare, quando sono solo tengo sveglia la mente recitando brani poetici, soprattutto della Divina Commedia; ripasso le declinazioni latine e greche; inseguo le immagini dei ricordi e collego gli eventi. E sono di buon appetito: poco ma ben saporito. È il caso di dire: corpus sanum in mente sana. Ma è la grazia del Signore, per intercessione della Madre Celeste, che mi protegge e mi lascia ancora su questa terra».