venerdì 6 novembre 2009
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Cento anni, 91 dei quali dedicati a rispondere a una chiamata. Sin da quando, all'età di 9 anni, monsignor Antonio Rosario Mennonna, il più anziano vescovo italiano e uno dei più anziani al mondo, entrò in seminario a Benevento. Nato il 27 maggio 1906 a Muro Lucano (Potenza), per sette anni fu pastore della sua diocesi d'origine, prima di guidare, dal 1962 e per ben 21 anni, la Chiesa pugliese di Nardò (dal 1986 poi unita a quella di Gallipoli). Autosufficiente, complessivamente in buona salute, parla volentieri Mennonna. E domani saranno in tanti a Muro Lucano a festeggiarlo.Eccellenza, lei è sacerdote da 78 anni e vescovo da 51; la sua vita ha incrociato quella di nove Papi, molti dei quali ha conosciuto di persona; ha ordinato più di 70 sacerdoti, ha scritto 15 libri e 11 lettere pastorali. È tra i pochissimi vescovi viventi nominati da Pio XII: quali momenti della sua vita ecclesiale le restano vivi?«Senz'altro quello della mia ordinazione sacerdotale: ha rappresentato l'aurora della mia vita, che si rinnovava ogni volta che procedevo nell'ordinazione di un prete. Né posso dimenticare la consacrazione a vescovo e la permanenza nella mia stessa diocesi di Muro Lucano, dove ho desiderato tornare dopo l'esperienza nella straordinaria diocesi di Nardò, dove ho potuto servire la Chiesa con sacerdoti e laici zelanti. E che dire poi della gioia intima provata nel primo incontro con Giovanni XXIII: sprigionava e sollecitava affetto, da padre buono qual era».Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: tanti carismi, tanti modi di servire il popolo di Dio. A chi si sente più vicino?«In questi lunghi anni si sono avvicendati Papi che hanno saputo interpretare i tempi della travagliata nostra storia e porre la Parola come messaggio di pace, di giustizia e di speranza. Pio XII con l'austerità del magistero; Giovanni XXIII con la bontà dell'animo; Paolo VI con la cultura della fede; Giovanni Paolo II con la missionarietà della testimonianza; Benedetto XVI con la saldezza teologica. Giovanni Paolo I, conosciuto da vescovo durante il Concilio per la vicinanza dei nostri scranni, era una persona semplice, dolce e affabile. A tutti mi sento vicino». E sul piano dei ricordi...«Pio XII mi ha nominato vescovo e Giovanni XXIII mi ha concesso diverse udienze, durante le quali ricordava di essere venuto a Muro Lucano. Questo evento è stato rievocato alla presenza del caro confratello Loris Capovilla con una lapide nella mia parrocchia. Diverse, poi, sono state le udienze con Paolo VI, che ha gradito le mie pubblicazioni, e con Giovanni Paolo II, cui è legata la benedizione della statua della Madonna della Pace, a seguito di un pellegrinaggio della diocesi di Nardò».Lei ha partecipato ai lavori del Concilio Vaticano II. Un evento, si è detto, i cui frutti non abbiamo ancora raccolto del tutto: che esperienza è stata? «Il Signore, tramite papa Giovanni, ha voluto gettare semi sia per i credenti sia per i non credenti. Come la parabola, i semi sono caduti in terreni diversi e diverse sono state e e continuano ad essere le colture. Ognuno di noi non può ritenere di aver completato nella pienezza la Parola di Dio. Non dimentichiamoci che siamo in cammino e che l'interpretazione e la sperimentazione sono in movimento. Per quanto riguarda me, sono stato sempre presente e ho seguito con profonda umiltà i lavori, ai quali ho cercato di dare qualche contributo, spesso tramite il presidente della Conferenza episcopale pugliese, monsignor Enrico Nicodemo, e con la consapevolezza che lo Spirito Santo ci illuminava e ci guidava. Si è vissuta la comunione della fede e della ricerca: quale più esaltante esperienza da vivere anche oggi?».Da vescovo lei si è sempre speso per sostenere le vocazioni. Quali ragioni l'hanno indotta, negli anni '20, a diventare sacerdote e come le racconterebbe a un giovane seminarista di oggi?«La mia famiglia profondamente cristiana e la presenza di validi sacerdoti quali educatori, sono state le condizioni in cui ho potuto formarmi e rispondere alla chiamata del Signore. Molte delle mie ragioni vocazionali sono al di fuori della cultura di oggi e dell'ambiente in cui i giovani vivono. Potrebbero non servire a niente. Al giovane seminarista, pertanto, non indicherei i percorsi della mia esperienza, ma, benedicendolo, gli direi soltanto: ascolta il Signore e non temere».Come vede il futuro della Chiesa guidata da Benedetto XVI?«Dopo il grande messaggio di apertura al mondo, la nostra Chiesa, sotto la guida di Benedetto XVI, sarà più riflessiva e attenta. Continuerà ad aprirsi al mondo, ma privilegiando le coscienze dei dialoganti».Come vive il suo sacerdozio oggi? Come si svolge la sua giornata? «Fisicamente preferisco non muovermi da casa; cerco comunque di camminare almeno per due chilometri al giorno. Con la mente e con il cuore attraverso le case della mia Muro e dell'amata diocesi di Nardò, benedicendo soprattutto gli anziani e i giovani a rischio. Dedico buona parte della mia giornata alla preghiera, compresa la celebrazione della Messa. Qualche volta impartisco anche il sacramento della Cresima. Data la mia debole vista, riesco a leggere solo i titoli grandi di Avvenire; qualche articolo mi viene letto da mio nipote. Ascolto ogni ora il radiogiornale e rimango indifferente alla televisione. Quando ricevo visite mi piace dialogare, quando sono solo tengo sveglia la mente recitando brani poetici, soprattutto della Divina Commedia; ripasso le declinazioni latine e greche; inseguo le immagini dei ricordi e collego gli eventi. E sono di buon appetito: poco ma ben saporito. È il caso di dire: corpus sanum in mente sana. Ma è la grazia del Signore, per intercessione della Madre Celeste, che mi protegge e mi lascia ancora su questa terra».
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