domenica 12 ottobre 2014
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«Una Chiesa capace di ascoltare davvero le famiglie, di coinvolgerle, di costruire nuove prospettive. Siamo arrivati a metà strada e possiamo dire che il 'metodo Sinodo' sta funzionando ». Non nasconde la sua soddisfazione il vescovo di Parma, Enrico Solmi, presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita, di fronte all’andamento della grande assemblea voluta da papa Francesco con l’obiettivo di regalare nuovi motivi di speranza alle famiglie del mondo. La posta in gioco è elevatissima. Ce la farete a non deludere tutti coloro che guardano a questo Sinodo come a un punto di svolta? Dobbiamo dire innanzi tutto che con questo doppio appuntamento, quello in corso e quello che andremo a celebrare tra un anno, la Chiesa si è assunta una grande responsabilità di fronte al mondo. E non sto parlando solo dal punto di vista religioso. La famiglia, con le sue crisi e le difficoltà, ma anche con sua centralità, è un problema sociale e culturale, non solo ecclesiale. E lo è per tutto il mondo. Insomma, non possiamo fare flop. Vuol dire che non sarebbe accettabile un Sinodo che si limitasse a ribadire l’esistente? Non credo succederà, ma dobbiamo affrontare due ordini di problemi. Da una parte c’è quello del radicamento in tutte le culture di una modernità, con luci e ombre, che sembra pervadere ogni società. In Occidente in modo connaturato, altrove con modalità che sanno di imposizione. A cosa si riferisce? Per esempio alla cultura dell’individualismo e dell’egoismo con cui rischiamo di contaminare tante società africane o asiatiche. Penso ai programmi di pianificazione della fertilità che altro non sono che propaganda abortista. Si è parlato anche di questo al Sinodo? Sicuramente la varietà dei temi è stata molto ampia. Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire tante situazioni di sofferenza e di emarginazione che toccano da vicino milioni di famiglie nel mondo. Il problema della povertà, per esempio, che investe un numero crescente di nuclei familiari. E poi la guerra, le migrazioni, le persecuzioni. In alcuni Paesi dirsi famiglie cattoliche è una sfida che può diventare anche martirio. Non era possibile eludere difficoltà terribili come queste. Dal punto di vista pastorale quali le emergenze più sottolineate? La grande preoccupazione per la preparazione al matrimonio, innanzi tutto. Un tema segnalato da tante Conferenze episcopali. E poi la formazione permanente delle coppie. Sarebbe auspicabile che, al termine di questo doppio appuntamento sinodale, venissero tracciate delle linee comuni di riferimento. Che magari poi le Chiese locali potranno adattare alle specifiche esigenze. Naturalmente si è parlato molto anche di famiglie ferite, di divorziati risposati, di indissolubilità. A questo proposito, sarà possibile trasferire nella nostra prassi pastorale i cammini penitenziali che, in molte Chiese ortodosse, permettono anche a chi ha contratto un nuovo matrimonio, di accedere all’Eucarestia? Non credo che la prassi ortodossa possa essere adottata tout court nelle nostre Chiese occidentali. Ma può validamente integrarsi con una nuova attenzione per le famiglie ferite. Già nella Familiaris consortio c’erano indicazioni precise per quanto riguarda l’accoglienza e l’ascolto della situazioni di crisi. Poi questi percorsi non sono stati sviluppati adeguatamente né dalla teologia né dalla riflessione pastorale. Eppure in tante delle nostre comunità esistono esperienze di accompagnamento e di vicinanza per separati e divorziati. Facciamo molto, ma dobbiamo fare di più. Questa attenzione deve diventare sforzo comune di tutta la Chiesa. Noi dobbiamo essere grati all’ortodossia perché ci mette davanti il senso della fatica e della difficoltà di annunciare il Vangelo del matrimonio e della famiglia anche nelle situazioni più difficili. Come declinare concretamente questo invito all’accoglienza? Dobbiamo andare a cercare queste persone nei loro ambienti di vita, offrire loro un accompagnamento con sincerità e simpatia, «andare a scuola» di sofferenza da chi, come i divorziati risposati ha vissuto queste debolezze. Cosa succederà la prossima settimana? Metteremo in evidenza meglio questi ed altri problemi nei circoli minori, per poi lanciare la volata al prossimo Sinodo. Ma avremo ancora un anno di tempo per pensarci bene.
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