venerdì 16 ottobre 2015
Proseguono i lavori. I padri sinodali sono tornati a riunirsi nei tredici gruppi linguistici per discutere della terza e ultima parte dell'Instrumentum laboris.  (Luciano Moia) VAI ALLO SPECIALE  | INTERVISTA Schönborn: nuova pastorale, ce la faremo (Stefania Falasca) |  IL DIARIO Al Sinodo i fiori d’arancio sono anglicani (Luciano Moia)
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Quando si parla di sessualità coniugale la Chiesa deve affidarsi all'esperienza delle coppie. L'ha spiegato durante il briefing di questa mattina il portavoce vaticano, padre Angelo Lombardi. Ieri mattina, durante la congregazione generale c’è poi stato spazio per gli interventi di tutte le 16 coppie uditrici. Tanti gli spunti emersi, tra cui appunto quello della sessualità coniugale, importante nelle dinamiche esistenziali della coppia «sia in rapporto alla riconciliazione quotidiana, sia nella dimensione eucaristica del dono. In questo campo l’esperienza delle coppie – ha ammesso Lombardi – che deve guidare la Chiesa». Nel corso del dibattito «si è tornati varie volte a far capire che l'accompagnamento e la preparazione al matrimonio per le coppie cristiane e per quelle che vivono situazioni difficili richiede essenzialmente il ruolo della partecipazione delle coppie cristiane, che possono comunicare un'esperienza in modo missionario alle altre coppie». Oggi pomeriggio i padri sinodali sono tornati a riunirsi nei tredici gruppi linguistici per discutere della terza e ultima parte dell'Instrumentum laboris. Stamattina è stata toccata da diversi interventi la questione della enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Uno dei collaboratori di padre Lombardi al briefing, Manuel Dorantes, ha riferito di un intervento, in merito alla educazione sessuale, che ha sottolineato come la Chiesa deve presentare la sessualità umana in modo positivo e i genitori non possono lasciare un tema così delicato all'educazione pubblica. Durante la congregazione generale di questa mattina e di ieri pomeriggio tanto spazio ancora al tema della comunione per i divorzati risposati. Un racconto che tocca il cuore, come quello proposto l’altro ieri nell’Aula sinodale da don Roberto Rosa, parroco di San Giovanni Apostolo, a Trieste, può servire a sciogliere qualche irrigidimento giuridicista e ad aprire spiragli verso un’apertura pastorale dove l’accoglienza, pur senza essere cancellata, viene anteposta alla norma? L’idea è stata suggerita dal vescovo di Gand, in Belgio, Lucas Van Looy, secondo cui dopo la storia del bambino che, al momento della Prima Comunione ha spezzato l’ostia per dividerla con i genitori – divorziati e risposati – che non avrebbero quindi potuto riceverla, «gli interventi in Aula sono diventati più propositivi». La varietà delle letture si mantiene naturalmente amplissima, ma all’interno del gruppo – ha spiegato il presule belga in un’intervista a Radio Vaticana – il clima rimane di ascolto e di rispetto. «Ci sono visioni diverse, ma questo deriva dal fatto che ognuno proviene da contesti differenti. Una persona che arriva dall’Estremo Oriente può avere un proprio pensiero su una questione riguardante il matrimonio», ma non per questo non viene ascoltata e il suo pensiero non sollecita riflessioni. È la ricchezza del Sinodo che anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha sottolineato come cifra distintiva di un’assemblea «che è il segno della grande libertà che esiste dentro la Chiesa. Quello che conta è che ciascuno dia le ragioni adeguate». In questa prospettiva si è detto convinto del fatto che si troverà un consenso sul tema dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. Scola ha poi indicato nel lavoro dei gruppi un prezioso momento di confronto e di reciproco, progressivo convincimento, «proprio perché dobbiamo raggiungere la maggioranza dei due terzi». L’arcivescovo di Milano, in riferimento alla "lettera dei 13 cardinali" – in realtà non si sa quanti abbiamo davvero firmato – ha smentito che al Sinodo esistano condizionamenti e ha rifiutato il suo inserimento nel presunto gruppo dei cosiddetti "cardinali conservatori", ammesso che esista un gruppo simile. Anche perché l’arcivescovo di Milano, ha osservato come esista «un clima molto bello, di ascolto profondo di tutti con tutti». Tra le tante proposte avanzate dai padri sinodali sul nodo dei divorziati risposati – riferite durante il consueto briefing – è stata segnalata sia quella che vorrebbe puntare sull’istituzione di una specifica commissione teologica per studiare più a fondo la questione, sia quelle che hanno tracciato opzioni per "percorso penitenziale". Anche in questo caso non esistono però idee univoche. C’è chi vorrebbe un’apertura allargata, lasciando il giudizio alla libera coscienza della coppia, e chi – come il cardinale José Francisco Robles, arcivescovo di Guadalajara – ritiene opportuno un percorso in cui si possa valutare il "problema riammissione" caso per caso. Che è poi la linea suggerita anche dal cardinale Walter Kasper. Ieri lo stesso porporato ha osservato come numerosi padri si siano detti d’accordo su un’ipotesi di percorso penitenziale, ma come si siano evidenziate anche molte opposizioni: «Non so quale sarà l’esito, per me esiste il concetto di speranza». Percorso penitenziale o verifica attenta della sacramentalità del vincolo? Per il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, la secondo opzione merita un attento chiarimento preliminare. «Ma se il vincolo indissolubile c’è – ha riferito in un’intervista a Radio Vaticana – non possiamo proporre un accesso ai sacramenti, perché è un punto dottrinale». Un’idea di esclusione che – ha detto durante il briefing il patriarca Stephanos, primate della Chiesa ortodossa di Estonia – «che non ci appartiene», perché com’è noto per gli ortodossi vale i principio della cosiddetta "oikonomia", cioè un percorso penitenziale che apra la strada a seconde nozze non sacramentali.
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