martedì 28 luglio 2015
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«È un problema di disciplina tributaria che dovrebbe avere una chiarezza maggiore rispetto alla stratificazione delle norme che consentono interpretazioni come questa della Cassazione». La Corte «tra l’altro rileva che si tratta di una vicenda del 2004, mentre le norme che hanno modificato la disciplina delle esenzioni sono del 2005-2006. Perciò in qualche modo interpreta vecchie disposizioni». Ma soprattutto il giurista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, punta sulle finalità, sui principi che regolano l’attività delle paritarie e di tutto il vasto settore del non profit, che vede protagonista la Chiesa, ma non solo. «Non vedo un grande dibattito sul fatto che l’asilo parrocchiale, anche se c’è un contributo in denaro dei genitori, non sia assimilabile alle scuole che fanno recuperare otto anni in uno. O che l’istituto dei Salesiani che fa formazione, e che per mantenere l’attività fa pagare un contributo, sia cosa diversa da un istituto a fini di lucro». Al fatto che queste realtà svolgono un interesse e una funzione pubblica va data perciò una «rilevanza oggettiva». Poi, «se si ha il coraggio di dire che non c’è interesse pubblico ad esempio in un centro ricreativo a Scampia per ragazzi di strada, gestito da volontari, che abbia una piccola retta, allora è un altro discorso. Ma se si è d’accordo sui principi, si tratta di trovare una formulazione adeguata dell’articolo 7 del decreto legislativo 504 del 1992 (quello sulle esenzioni all’Ici contenuto nella finanza degli Enti territoriali, ndr) oggetto dell’interpretazione della Corte. E che forse la Corte poteva interpretare in forma parzialmente diversa». A cosa risalgono le difficoltà nel dirimere la questione? Una risposta hanno cercato di darla, anche con successive variazioni, la legge sulla finanza degli Enti territoriali e la norma che prevede l’esenzione dall’Imu/Ici. E lo hanno fatto affermando – è un dato oggettivo – che gli immobili utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e ricreative, nonché i luoghi di culto, sono esenti. Questo per un parallelismo con gli immobili di enti pubblici destinati a compiti istituzionali. Dunque, come si è arrivati alla sentenza? La Cassazione ha dato un’interpretazione che riguarda sì il profilo soggettivo e oggettivo, ma limita questa esenzione, dicendo che l’attività deve essere svolta con modalità non commerciali. Intendendo per commerciali tutte quelle attività che prevedono il pagamento di un corrispettivo. Quindi, stringendo molto, forse troppo, le maglie. Dunque, la norma andava in una direzione, l’interpretazione della Cassazione – una di quelle possibili e di tutte si può discutere – va in un’altra. Si tratta di risolvere la questione anche normativamente. La Cassazione si rifà alla procedura di infrazione dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla Chiesa e in materia di concorrenza. Qui si è enfatizzato qualcosa che forse non era da enfatizzare. Aprire una procedura di infrazione non significa concluderla negativamente. Significa aprire una finestra per guardare delle cose. Allora qui davvero bisogna vedere qual è la natura delle cose, che è dettata da una disciplina tributaria nazionale. Certamente se si tratta di attività commerciali in concorrenza con altri soggetti, o che si camuffano da non lucrative, qualche problema ci può essere. Ma se si tratta di attività che, per il modo in cui sono erogate e lo scopo esclusivo e prevalente, non rientrano nelle finalità commerciali, allora queste vanno protette.
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