sabato 27 agosto 2022
Scalabrini dedicò la sua missione a coloro che dovevano lasciare la propria patria in cerca di lavoro. Zatti dedicò la vita all’assistenza dei malati
Scalabrini e Zatti santi. Il 9 ottobre è la data delle canonizzazioni
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Il fondatore degli Scalabriniani, Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, sarà canonizzato domenica 9 ottobre, insieme ad Artemide Zatti, laico professo della Società Salesiana di S. Giovanni Bosco (Salesiani).
Lo ha stabilito il Papa, al termine del Concistoro odierno per la creazione dei nuovi cardinali. Al termine del Concistoro è stato il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, a leggere davanti a Francesco la “Peroratio” e presentato brevemente le biografie dei due Beati. Quindi il Papa, dopo aver espresso la valutazione dei voti, ha decretato che i due Beati siano iscritti all’Albo dei Santi nella data del 9 ottobre.

Scalabrini, il vescovo dalla parte dei migranti​

Non si è mai stancato di andare incontro alle persone, raggiungendole nei luoghi più lontani della sua vasta diocesi a dorso di mulo o affrontando lunghi viaggi sui piroscafi per farsi prossimo ai connazionali emigrati dall’altra parte del mondo. È morto nel 1905, ma è di straordinaria attualità il carisma di monsignor Giovanni Battista Scalabrini, padre dei migranti e apostolo del catechismo, nato a Fino Mornasco, in provincia di Como, nel 1839, vescovo di Piacenza dal 1876 alla morte, avvenuta mentre si preparava all’ennesima visita pastorale, la sesta.

Nel 25° della beatificazione, si realizza il sogno dei missionari e delle missionarie di San Carlo Borromeo di veder canonizzato il fondatore, modello di pastore con l’odore delle pecore, attento ai problemi sociali del suo tempo, che sapeva leggere con l’intelligenza della fede. L’iter per il riconoscimento della santità è analogo a quello seguito per Giovanni XXIII, ovvero la cerimonia formale con dispensa del secondo miracolo. E, per gli strani incroci della Provvidenza, fu proprio il futuro Giovanni XXIII, allora giovane segretario a Bergamo del vescovo piacentino Radini Tedeschi, ad augurarsi che «la polvere sull’avello di Scalabrini fosse sparita». Il riferimento è alle accuse che alcuni detrattori gli avevano mosso in virtù dell’apertura all’impegno sociale e perfino politico dei cattolici che incoraggiava, mentre ancora pesava il “Non Expedit” (il divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica nazionale dell’Italia imposto dalla Chiesa). Eppure, Scalabrini era tutt’altro che un rivoluzionario. Solo, non concepiva il cristiano chiuso in sagrestia. Una convinzione che gli veniva dalla sua profonda spiritualità dell’incarnazione: se il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è morto e risorto per tutti, ogni uomo e ogni donna gode della stessa dignità e come tale va trattato.
Di attentati alla dignità ne vide tanti, in quel passaggio tra Otto e Novecento. Delle migrazioni aveva preso coscienza visitando le parrocchie dell’Appennino. L’illuminazione decisiva fu alla stazione di Milano, osservando una folla di ogni età ammassata sui binari. Com’era nel suo stile, volle entrare dentro il fenomeno per capirne le ragioni, i pericoli, i risvolti. Denunciò i «sensali di carne umana» che sfruttavano questa gente, creò missionari e missionarie per il servizio ai migranti. In Italia, mentre il socialismo si espandeva, e con esso la propaganda anticristiana, si adoperò per i lavoratori: orario, condizioni igieniche, assistenza sanitaria, previdenza. Si occupò delle mondariso e dei sordomuti. Si fece promotore della stampa cattolica in diocesi (il settimanale “Il Nuovo Giornale” ha come fondatore il suo segretario e primo biografo). Quand’era parroco di San Bartolomeo a Como aveva scritto un catechismo per i bambini; a Piacenza, pioniere in Italia, ospitò il congresso catechistico europeo.
«Fare patria dell’uomo il mondo», senza annullare le radici: la via tracciata da Scalabrini interpella ancora, la società come la Chiesa. I pellegrini di ogni nazionalità che sostano di fronte alla sua urna nella Cattedrale di Piacenza ne sono la prova.
Barbara Sartori



Zatti, il laico salesiano sostegno dei sofferenti

«Artemide Zatti ha vissuto sia l’esperienza del migrante, sia quella della malattia testimoniando in esse la forza salvifica della Pasqua e quella gioia che caratterizza lo stile di don Bosco e che permea tutta la famiglia salesiana di cui faceva parte. È un modello di santità particolarmente attuale in questi tempi segnati dalla pandemia e in cui tanti sono costretti ad abbandonare le proprie terre d’origine e per questo la sua canonizzazione sarà una festa per tanti». Così don Pierluigi Cameroni, salesiano, postulatore generale esprime la sua soddisfazione per l’imminente canonizzazione di Zatti, laico professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco (coadiutore) la cui data è stata annunciata ieri nel corso del Concistoro dopo che lo scorso aprile era stato promulgato il decreto sul miracolo: la guarigione avvenuta nelle Filippine nell’agosto del 2016 di un uomo colpito da un ictus ischemico con gravi complicazioni. Un nuovo santo «vicino ai sofferenti e non solo – prosegue Cameroni – perchè ha speso la sua vita per loro, ma perchè ha vissuto su di sé l’esperienza della malattia, maturando una sensibilità fuori dal comune nei confronti dei malati e non perdendo mai la speranza e la gioia». Nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Reggio Emilia) conobbe da subito le fatiche della povertà che costrinse la sua famiglia nel 1897 ad emigrare in Argentina, a Bahìa Blanca, dove cominciò a frequentare la parrocchia guidata dai salesiani. Accettato come aspirante da monsignor Giovanni Cagliero, entrò nella casa di Bernal dove gli fu affidato l’incarico di assistere un giovane sacerdote ammalato di tubercolosi. Anche Zatti contrasse la malattia e per questo fu inviato nell’ospedale di San José a Viedma dove venne seguito da padre Evasio Garrone. «Assieme a lui, chiese e ottenne da Maria Ausiliatrice – spiega don Cameroni – la grazia della guarigione con la promessa, da parte sua, di dedicare tutta la vita alla cura degli ammalati. Guarì e mantenne la promessa. Nel 1911 emise la professione perpetua. Prima cominciò ad occuparsi della farmacia annessa all’ospedale. In seguito, ebbe la totale responsabilità dell’ospedale, che divenne la palestra della sua santità: come buon samaritano ha accolto nella locanda del suo cuore e nell’ospedale San José di Viedma i poveri, gli infermi, gli scartati dalla società. In ciascuno di loro ha visitato Cristo, ha curato Cristo, ha alimentato Cristo, ha vestito Cristo, ha ospitato Cristo, ha onorato Cristo». Colpito da un cancro è morto il 15 marzo 1951 e Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 14 aprile del 2002. A festeggiare la canonizzazione tanti conterranei del suo paese natale dove ne è viva la memoria, gli argentini dove la sua fama di santità si è rapidamente diffusa, così come la Famiglia Salesiana tutta e in particolare i coadiutori che hanno in Zatti il loro primo santo: «La canonizzazione del beato Artemide Zatti, salesiano coadiutore – conclude don Cameroni – ci dice la bellezza della vita consacrata e il valore di una vita tutta dedicata a Dio nel servizio ai poveri con il cuore apostolico di Don Bosco. È un forte impulso a promuovere la vocazione del salesiano coadiutore, che porta in tutti i campi educativi e pastorali il valore proprio della sua laicità, che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo».

Federica Bello





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