venerdì 17 maggio 2019
Il libro “Ebrei e Cristiani” raccoglie il carteggio tra il Papa emerito e rav Arie Folger Il rabbino: un pensatore profondo cui ripugna l’antisemitismo in tutte le sue forme
Il volume curato da Guerriero presentato alla Lateranense. Monda: franchezza nel riconoscere le distinzioni ma col desiderio di fare fraternità. Gänswein: ogni pubblicazione di Benedetto XVI avviene in accordo con papa Francesco Un momento della presentazione del libro 'Ebrei e Cristiani' / Foto SB

Il volume curato da Guerriero presentato alla Lateranense. Monda: franchezza nel riconoscere le distinzioni ma col desiderio di fare fraternità. Gänswein: ogni pubblicazione di Benedetto XVI avviene in accordo con papa Francesco Un momento della presentazione del libro 'Ebrei e Cristiani' / Foto SB

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Tra Gerusalemme e Roma la distanza non si è certo azzerata, ma è sensibilmente diminuita. Ed è merito del dialogo. Si potrebbe riassumere così il bilancio dei rapporti ebraico-cattolici effettuato ieri all’Università Lateranense anche alla luce del carteggio tra il papa emerito Benedetto XVI e il rabbino capo di Vienna, Arie Folger, che ha presieduto la Commissione preparatoria di Tra Gerusalemme e Roma, importante documento di parte ebraica sul dialogo tra ebrei e cattolici. Ora quel carteggio è stato raccolto in un volume – Ebrei e Cristiani, a cura di Elio Guerriero, edito da San Paolo – presentato alla presenza dello stesso Folger, del segretario personale di papa Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, di Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano e del curatore, coordinati dal teologo Achim Buckenmaier, direttore della Cattedra per la Teologia del Popolo di Dio. Dialogo, dunque. Ispirato però alla franchezza e senza nascondere le differenze.

Folger, che ha anche fatto visita (nel gennaio di quest’anno) a Benedetto XVI, ha detto: «Nonostante l’età, è sempre pienamente padrone di se stesso dal punto di vista intellettuale, un pensatore simpatico e profondo cui ripugna l’antisemitismo in tutte le sue forme». Certo, le differenze restano, ma proprio il dialogo le ha in qual- che modo smussate.

Un esempio su tutti: da un lato persiste l’unicità della via di salvezza, che il Papa emerito ribadisce nel suo scritto. Ma per il rabbino viennese è anche importante il fatto che «Benedetto trova una via per spiegare come mai i cristiani debbano rinunciare a una missione diretta agli ebrei e come mai l’alleanza di Dio con il popolo ebreo non è stata revocata e non è revocabile». Lo stesso vale per la visione dello Stato di Israele come realizzazione della promessa della terra.

Non c’è identità di vedute, ma piace a Folger l’affermazione ratzingeriana di come esso sia comunque «un segno di quella perdurante alleanza». Secondo monsignor Gänswein, «il libro è frutto di una profonda riflessione, di una vera preoccupazione per il dialogo ebraico-cristiano di Benedetto XVI, che abbraccia tutta la sua vita». «Non diversamente da tutte le affermazioni pubbliche da quando è Papa emerito – ha quindi proseguito – anche questa pubblicazione è avvenuta in accordo con il suo successore papa Francesco ».

L’arcivescovo ha quindi fatto notare che «le prese di posizione di Benedetto XVI suscitano sempre anche critiche e scetticismi, in particolare in Germania, la sua patria. In altri Paesi, come gli stati Uniti, la situazione è molto differente». Il dialogo con gli ebrei tuttavia non è solo interreligioso, ma «una lotta per la verità che proviene da Dio, che è l’unica verità che può aiutare il nostro mondo così variamente minacciato».

Ecco perché, ha concluso il presule, «questo carteggio è di grande importanza. Non mette tra parentesi la questione della verità come quella della presunta teoria della sostituzione e quella della posizione della Chiesa cattolica riguardo all’esistenza dello stato di Israele», ma «ha il coraggio di affrontare con decisione e pronunciarsi con chiarezza anche su questioni difficili senza mirare all’applauso facile».

Lo stesso concetto che ha messo in evidenza Andrea Monda: «Nel libro c’è un riconoscimento franco delle distinzioni, ma con il desiderio di fare fratellanza e di guardarsi negli occhi». Come del resto ha riconosciuto anche papa Francesco, ha concluso il direttore dell’Osservatore, «uomo di dialogo, che nel suo viaggio in Macedonia e Bulgaria ha detto di aver scoperto che la cosa più importante è il “faccia a faccia”».

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