sabato 18 luglio 2020
Approvati dal Concilio Vaticano I, affrontano temi dibattuti per secoli Lo storico Fantappiè: una scelta per ribadire la sovranità spirituale della Chiesa. Il Vaticano II aprirà poi alla collegialità
Il Concilio Vaticano I

Il Concilio Vaticano I - Dipinto

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Era il 18 luglio 1870, esattamente centocinquanta anni fa, quando veniva promulgata la Costituzione Pastor Aeternus approvata dal Concilio Vaticano I. Con questa Costituzione il Concilio presieduto dal futuro beato il papa Pio IX ha definito due dogmi della Chiesa cattolica: il primato di giurisdizione del Vescovo di Roma e l’infallibilità papale. Un evento di portata storica che suscitò reazioni fortissime sia all’esterno sia in alcuni settori della Chiesa, provocando lo scisma dei “vecchi cattolici”.

Il documento venne approvato due mesi prima della fine del potere temporale dei Papi che avvenne con l’ingresso delle truppe piemontesi a Porta Pia a Roma.

A giudizio di Carlo Fantappiè, docente di storia del diritto canonico alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, il testo conciliare «rappresentò il coronamento di un processo di verticalizzazione interna alla Chiesa, dall’età gregoriana al Concilio di Trento, dopo la sconfitta delle tesi conciliariste intorno al primato del Concilio sul Papa e la consacrazione delle sue prerogative magisteriali dopo secolari discussioni intorno alla infallibilità del Papa».

Infatti, se fin dai primi secoli fu riconosciuto il ruolo del Vescovo di Roma come «custode della fede», nell’età moderna, prima Lutero e i riformatori, poi i gallicani e i giansenisti, tentarono più volte di negare o di limitare l’infallibilità papale.

Il professore che è anche ordinario di diritto canonico all’Università Roma Tre si sofferma sul legame stretto che si venne a creare nel corso dell’Ottocento fra l’affermazione del potere assoluto di governo del Papa nella Chiesa, sollecitato dalle correnti ultramontane e dal pensiero controrivoluzionario di De Maistre, e la formazione della sovranità negli Stati-nazione.

«Il conflitto fra Stati e Chiesa romana si venne a focalizzare sul problema della sovranità e dell’appartenenza dei fedeli alla Chiesa o alla nazione. Pio IX volle affermare la sovranità spirituale della Chiesa con i due dogmi del Vaticano I contro la sovranità temporale degli Stati che assoggettavano le strutture della Chiesa ai poteri secolari e minacciavano lo Stato pontificio». In questo secolo e mezzo si è avvalso della prerogativa dell’infallibilità papale Pio XII per la proclamazione nel 1950 del dogma dell’Assunzione della Vergine in anima e corpo in Cielo.

Fantappié si sofferma su alcuni aspetti della Pastor Aeternus che, visti con gli occhi di oggi, possono apparire controversi. «Il testo definitivo che noi conosciamo – spiega – è concentrato sulle prerogative del Papa. In verità si pensava di elaborare una seconda Costituzione che completasse gli aspetti mancanti ma, a causa della sospensione del Vaticano I, ciò non fu possibile.

Anche per questo il Vaticano I fu un “Concilio monco”. In questa Costituzione avviene un sbilanciamento dottrinale a favore delle funzioni e dei poteri del Vescovo di Roma mentre vengono sottaciuti i diritti e le prerogative dell’episcopato come la partecipazione della “comunità dei fedeli” all’elaborazione del magistero e della vita della Chiesa. Per la verità diversi padri conciliari si resero conto di questo “sbilanciamento”. Una lacuna che sarà colmata cento anni dopo solo con il Vaticano II».

Inoltre osserva: «I padri conciliari ebbero l’avvertenza di restringere le prerogative del Pontefice quando egli parla “ex cathedra” nella sua veste di “pastore e dottore di tutti i cristiani” in materia di fede e di costumi, cioè lasciando lo spazio all’idea che anche un Papa quando esprime una semplice opinione può errare....». Bisogna distinguere infatti fra infallibilità e inerranza.

Fantappié legge soprattutto il filo rosso di continuità «non solo ideale di magistero» che i successori di Pio IX (in particolare Giovanni XXIII e Paolo VI, «entrambi grandi estimatori di papa Giovanni Maria Mastai Ferretti») hanno intravisto nel Vaticano II come «il completamento di ciò che non fu possibile realizzare durante l’assise conciliare del 1869-1870».

Di qui la riflessione finale: «In un certo senso lo stesso cardinale e oggi santo John Henry Newman comprese prima di altri che ogni Concilio, incluso il Vaticano I, doveva essere letto alla luce di quelli precedenti. Egli era convinto che, proprio perché il Vaticano I fu oggetto di “grandi opposizioni e prove” a livello di discussioni teologiche, avesse avuto bisogno di un riassetto e di un riequilibrio che ridefinisse quelle verità di fede che rimanevano valide. E cento anni dopo il suo auspicio fu esaudito con il Vaticano II. Per questo Newman per le sue intuizioni è considerato tra i migliori ermeneuti del Vaticano I e il precursore, secondo Jean Guitton, del Concilio successivo».

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