martedì 12 settembre 2023
Nel Messaggio inviato all’incontro internazionale organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio Francesco chiede di andare oltre il realismo e le strategie
La cerimonia finale davanti alla porta di Brandeburgo

La cerimonia finale davanti alla porta di Brandeburgo - .

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Il primo ad accendere il cero della pace al braciere collocato al centro del palco è un rabbino tedesco. Dopo di lui un pastore, vescovi luterani, cardinali cattolici, patriarchi orientali, metropoliti ortodossi, imam islamici, rappresentanti delle tradizioni religiose orientali, tra i quali un buddista giapponese che è un veterano degli incontri: da Assisi in poi non ne ha perso uno.
Davanti alla Porta di Brandeburgo le religioni del mondo si abbracciano e invocano la pace. Tanti i gesti e le parole di quest’ultimo atto della “tre giorni” di Berlino. Come la gioiosa irruzione sul palco di tanti bambini, in rappresentanza dei loro coetanei nel mondo feriti in anima e corpo da guerre e privazioni. O come l’annuncio della prossima tappa, che sarà Parigi, come ha annunciato l’arcivescovo della capitale francese, Laurent Ulrich che ha ricevuto per ultimo, a mo’ di staffetta, il cero dalle mani di Andrea Riccardi e Marco Impagliazzo, fondatore e presidente della Comunità di Sant’Egidio. «Parigi sarà anche, dopo Berlino, la città per la pace», ha sottolineato l’arcivescovo.

La cerimonia si è poi conclusa con un abbraccio tra i presenti, mentre le persone nella Pariserplatz esponevano cartelli con scritto “pace” “mir”, “Frieden”. Poco prima in piazza i rappresentanti delle religioni si erano radunati, confluendo dai vari luoghi di preghiera dove ognuno aveva invocato la pace secondo i propri riti.


Davanti alla porta di Brandeburgo
la chiusura dell’evento berlinese
con una suggestiva cerimonia finale
contrassegnata dal caldo abbraccio di pace
dei leader religiosi e politici
La prossima edizione
si terrà a Parigi

Non sono mancate al raduno le parole per dire al mondo l’urgenza di far cessare i conflitti nel pianeta, partendo da quello in Ucraina. Oltre al messaggio finale dell’incontro (che pubblichiamo in questa pagina), il nunzio in Germania Nikola Eterovic ha letto quello di papa Francesco. Il quale ha ricordato come dopo le speranze suscitate dalla caduta del Muro, troppi sono i muri e le guerre che insanguinano il mondo. «Occorre l’audacia della pace ora, perché troppi conflitti perdurano da troppo tempo, tanto che alcuni sembrano non avere mai termine, così che in un mondo in cui tutto va avanti veloce, solo la fine delle guerre sembra lenta». Guerra che, prosegue il Pontefice ricordando quanto affermato lo scorso anno al Colosseo nelle preghiera per la pace con Sant’Egidio, è «la madre di tutte le povertà».

Per questo occorre non fermarsi alla situazioni date, con le preghiere e con le azioni. «Occorre andare avanti per valicare il muro dell’impossibile eretto su ragionamenti che appaiono inconfutabili, sulla memoria di tanti dolori passati e di grandi ferite subite. È difficile, ma non impossibile». Non lo deve essere per i credenti che hanno la speranza della preghiera, ma non deve esserlo «nemmeno per i politici, per i responsabili, per i diplomatici». Per questo il Papa sprona: «Continuiamo a pregare per la pace senza stancarci, a bussare, con spirito umile e insistente alla porta sempre aperta del cuore di Dio e alle porte degli uomini. Chiediamo che si aprano vie di pace soprattutto per la cara e martoriata Ucraina».

Il momento di preghiera dei cristiani ha visto l’intervento del cardinale Matteo Zuppi, che prima della fine della cerimonia è partito alla volta della Cina per la sua missione. E del metropolita ortodosso del patriarcato di Romania Serafim e del moderatore del World Council of Churches, il pastore luterano Heinrich Bedford-Strohm.

Tutti i leader religiosi hanno poi sfilato sotto la Porta di Brandeburgo, luogo altamente simbolico dei tempi della divisione della Germania in due, sui quali ha dato una testimonianza la pastora Angela Kunze-Beiküfner, responsabile dell’Università e degli Studenti. Nel 1989 aveva 25 anni e ha raccontato le preghiere che si tenevano nella chiesa evangelica del Getsemani, poco lontano dal palco. Le preghiere erano per la pace e per gli arrestati dalla polizia, ma presto diventarono, digiuni, sit-in. E a un certo punto la polizia tedesca si ritirò. Un mese dopo il 9 novembre cadde il Muro. E un politico della Ddr (la Germania Est) dichiarò: «Ci aspettavamo di tutto, ma certo non candele e preghiere».

La donna dice chiaramente che i fattori che hanno inciso sono stati molti. «Ma dopo questa esperienza sono convinta che le preghiere hanno un potere trasformativo, possono accelerare il cambiamento pacifico delle società e abbattere i muri». È il messaggio che da Berlino parte per il mondo,

Momento centrale dell’incontro internazionale di Berlino, la proclamazione e la consegna dell’appello per la pace. Lo riportiamo integralmente.

Riuniti a Berlino nello spirito di Assisi, rappresentanti delle Religioni mondiali, abbiamo pregato per la pace. Lo abbiamo fatto in questo luogo in cui parla la storia: memoria della guerra e del muro che divideva l’Europa. Proprio qui abbiamo capito che nessun muro è per sempre. Nel 1989 qui è avvenuta una rivoluzione pacifica che mostra la forza della libertà. Cadano presto i muri, visibili e invisibili, che dividono i popoli in Europa, Asia, Africa, nelle Americhe, in mezzo al mare Mediterraneo per i migranti che fuggono dalle guerre! Cadano i muri del cuore che accecano e non fanno vedere che l’altro è mia sorella e mio fratello!
Sentiamo oggi con più forza la nostra responsabilità e insieme ci facciamo mendicanti di pace. Non basta la prudenza, è il tempo dell’audacia! Per questo, a nome di chi non ha voce, diciamo forte: “Nessuna guerra è per sempre!” Pace non significa arrendersi all’ingiustizia: significa uscire dall’ingranaggio del conflitto che rischia di ripetersi all’infinito e che nessuno sembra più riuscire a controllare.

La guerra è la negazione del destino comune tra i popoli, è la sconfitta dell’umanità. Chi la inizia si prende una responsabilità enorme davanti all’umanità. Con la guerra si sfigura ciò che di più umano è in noi. Oggi la guerra rischia di eternizzarsi, allargando le sue conseguenze, colpendo le popolazioni anche molto lontano. Terribile è l’uso di armi micidiali che uccidono tanti e seminano lutti e provocano gravi conseguenze ambientali.

La guerra acceca e fa perdere la memoria di chi siamo. Le guerre, le pandemie e il cambiamento climatico, gli spostamenti delle popolazioni e le disuguaglianze hanno conseguenze per tutti. Nessun popolo, nessun continente può illudersi di rimanere immune. Lavoriamo al servizio di un’unità spirituale per ritrovare il senso del nostro comune destino. Umanizziamo questo mondo globale: l’Altro è nostro Fratello, l’Altra è nostra Sorella! Tra le macerie della Seconda Guerra Mondiale è nato il sogno di un’Europa comune e di un mondo dei popoli, fratelli e uguali. È questo, non altro, il futuro che vogliamo costruire!

Siamo consapevoli che o riusciremo a porre fine alle guerre o le guerre porranno fine all’umanità. Il mondo, la nostra casa comune, è uno solo: ci è stato dato in eredità e tale lo dobbiamo lasciare alle future generazioni. Liberiamolo dall’incubo nucleare!

Ripartiamo con la politica del disarmo, fermiamo subito il rumore delle armi.

Per questo occorre l’audacia della pace, il coraggio di cominciare a parlarsi mentre c’è ancora la guerra. Chi soffre – ha detto un anno fa Papa Francesco al Colosseo – “ha il diritto sacrosanto di chiedere pace in nome delle sofferenze patite, e merita ascolto”. Abbiamo l’urgenza di ascoltare il grido soffocato della pace. Dialogare oggi, mentre parlano le armi, non indebolisce la giustizia ma crea le condizioni di una nuova architettura di sicurezza per tutti.

Ripartiamo insieme dal dialogo che è la medicina più efficace per la riconciliazione dei popoli. La pace è sempre possibile!

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