sabato 25 giugno 2022
Padre Érick Kagy, 74 anni, canadese, è cappellano dell’associazione “Famille Solitude Myriam” che nel Québec accoglie persone separate
Érick Kagy

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Padre Érick Kagy, 74 anni, canadese, è forse l’unico divorziato, padre e nonno che nella Chiesa cattolica sia anche diventato sacerdote. In questo Incontro mondiale in cui si stanno infrangendo tanti schemi consolidati e tante fragili certezze fondate sul “si è sempre fatto così”, non deve stupire che un prete come Kagy sia stato chiamato a raccontare la sua esperienza. Giovedì pomeriggio, insieme a Danielle Bourgois – fondatrice dell’associazione “Famille Solitude Myriam” – è intervento sul tema dell’abbandono coniugale, del divorzio, della fatica di ricostruirsi una vita e una fede dopo il trauma della disgregazione familiare. Ha parlato da esperto, come cappellano della sua associazione che nel Québec si occupa di accogliere e accompagnare divorziati risposati ma anche separati fedeli al sacramento del matrimonio. Ma, soprattutto, come protagonista di un’esperienza dolorosa che ora ripropone come esempio di caduta e di rinascita nella fede.

Padre Kagy, dopo un’esperienza difficile come la sua, è ancora possibile proporre, come lei, fa la bellezza del matrimonio indissolubile?

Proprio perché ho provato sulla mia pelle il dolore della separazione e ho scoperto la fede e il significato autentico del matrimonio cristiano in età matura, sono in grado di parlare dell’amore coniugale alle coppie in difficoltà.

Quanti anni aveva quando ha deciso di diventare prete?

Poco più di 50, il mio matrimonio era già fallito per una serie di difficoltà e mia moglie era morta. Non ero praticante e mi sono trovato a riflettere sulla mia vita. Ero disorientato. In questo periodo ho fatto la conoscenza di altre persone divorziate come me. Ho compreso il loro dolore e mi sono sentito chiamato a donare radicalmente la mia vita. Sono entrato nel Seminario Maggiore di Montreal e, a 54 anni, sono stato consacrato sacerdote diocesano.

Di cosa si occupava prima di diventare sacerdote?

Ero analista informatico.

Perché oggi tanti matrimoni falliscono, e quelli religiosi non sembrano meno fragili?

Quando sono ai piedi dell’altare i due sposi sono certi che il loro amore durerà fino alla morte. Ma poi cominciano le difficoltà e il rapporto diventa un reale incubo che si conclude frequentemente con l’abbandono dell’uno o dell’altra. La coppia si spezza, ma anche la famiglia si spezza. Non dimentichiamo mai che, quando si verificano le separazioni, sono i bambini quelli più sfortunati. Parlo purtroppo per esperienza.

Quanti anni aveva suo figlio quando avete divorziato?

Era poco più che adolescente. Oggi ne ha 42 ed è a sua volta padre.

Ha sofferto tanto?

Come tutti i figli di divorziati. Quando i divorziati litigano per ottenere l’affido dei bambini, loro soffrono e vivono momenti di profonda insicurezza. Sperano sempre che la separazione finisca, che i genitori tornino a vivere insieme. Nel divorzio le ferite più gravi toccano a loro. Dobbiamo pensare che è un loro diritto vivere con l’amore di entrambi i genitori.

Però sempre più spesso non succede così. Che responsabilità ha la Chiesa?

La mancanza enorme riguarda la preparazione al matrimonio. Troppo spesso i giovani arrivano alle nozze ignorando totalmente la grandezza e la profondità del sacramento del matrimonio.

Come correre ai ripari?

Per esempio assegnando ruoli più rilevanti alle coppie sposate, in particolare quelle mogli e quei mariti che hanno attraversato e superato momenti di difficoltà e che, proprio per questo, potrebbero essere ottimi formatori al discernimento e alla misericordia per le giovani coppie.

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