lunedì 7 dicembre 2020
Il patriarca dei caldei: siamo una minoranza in difficoltà, abbiamo sofferto tanto negli ultimi vent'anni
Il patriarca Sako durante una recente udienza da papa Francesco

Il patriarca Sako durante una recente udienza da papa Francesco - Ansa

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In meno di un’ora, di casa in casa, la notizia ha risvegliato tutti i villaggi della Piana di Ninive, come i quartieri cristiani di Baghdad. Un sogno, atteso da anni, che finalmente si avvera. «Una grande gioia perché l’annuncio viene in un momento così difficile – conferma il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca dei caldei –. Un Papa non è mai stato prima in Iraq: è un fatto straordinario soprattutto per il messaggio di fraternità, di rispetto reciproco fra le diverse comunità. Questa visita è un pellegrinaggio di fraternità umana».
Un annuncio che ha sorpreso molti. Da quando sapeva della visita?
Da sei settimane.
Ci può anticipare il programma?
Il Papa verrà a Baghdad, poi visiterà Ur, la città di Abramo il padre dei fedeli: in quel luogo ci sarà una celebrazione interreligiosa. Poi una Messa a Baghdad. Bergoglio andrà pure a Erbil, Mosul, e nella Piana di Ninive per incoraggiare i cristiani a rimanere, perseverare e sperare.
In passato la visita era stata accantonata per ragioni di sicurezza.
Su questa visita si registra una precisa volontà anche da parte del governo iracheno: il presidente della Repubblica aveva incontrato il Papa e lo ha invitato. Anche io ho inviato una lettera. Il Papa da tempo aveva espresso questo sogno di visitare la terra di Abramo. Spero che tutto sarà positivo, che il Papa riesca a realizzare questa visita e anche per noi, perché siamo stanchi. Papa Bergoglio lo aveva detto, all’inizio del suo pontificato: «Ovunque c’è un bisogno, io sono pronto a venire». E questo ora si realizza: noi come cristiani, in Iraq, in Siria, in Libano, un po’ in tutto il Medio Oriente, non abbiamo altro mezzo per difenderci che la preghiera e la speranza. La sola cosa che ci dà la forza è la nostra fede. Veramente noi siamo una minoranza in difficoltà, abbiamo sofferto tanto negli ultimi vent’anni in Iraq e se pensiamo alla Siria e al Libano è una vera catastrofe.
Patriarca Sako, sconfitto il Daesh nel luglio 2017, dei cristiani iracheni non si è quasi più parlato. Qual è, ora che siete meno sotto i riflettori, la vostra più grande difficoltà?
Ci sono, in questo momento, due grandi sfide: la pandemia con le ricadute economiche, nei rapporti sociali e l’incertezza per il futuro e il settarismo e il fondamentalismo che, pur se sconfitti militarmente, non sono sconfitti come ideologia e sono costante motivo di preoccupazione.
È del 2014 l’esodo forzato di quasi 150mila cristiani dalla Piana di Ninive per fuggire dal Daesh. Come prosegue il rientro, avviato nel 2018?
Più del 50% è rientrato. Altri hanno trovato un lavoro e una casa altrove e aspettano. Speriamo, piano piano, che tornino altri: serve fiducia, la fiducia nel futuro.
Quanti sono i cristiani rimasti in Iraq?
Non possiamo avere cifre precise, ma stimiamo che siano circa 500mila.
A Ur ci sarà una preghiera interreligiosa. Papa Bergoglio ha appena scritto l’enciclica “Fratelli tutti”. Come costruire questa fratellanza in Iraq?
Il Documento sulla fratellanza umana, firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb e poi l’enciclica “Fratelli tutti”, qui in Iraq hanno ancora più senso, individuano un bisogno, una esigenza. Il Papa parla della fraternità universale, che siamo tutti parte della famiglia umana e che dobbiamo collaborare, essere solidali e non distruggerci l’uno contro l’altro: una vera novità in questi Paesi dove ci sono conflitti, fondamentalismo e marginalizzazione delle minoranze. Sentire una voce così profetica ha un grande significato, la visita è una grande occasione per il Papa di annunciare la verità: è un atto molto coraggioso, soprattutto in questo tempo.
Lei sarà a Ur dei Caldei con il Papa. Quale richiesta può elevare l’umanità da quel luogo simbolico?
La pandemia, la secolarizzazione, il fondamentalismo, dicevo, sono le sfide: per questo c’è bisogno di un risveglio spirituale e morale senza di cui non ci sarà progresso.
Si parla dei cristiani d’Oriente come del secondo polmone della Chiesa: una ricchezza di tradizione, di riti, di spiritualità. Come la Chiesa latina può esservi vicina in preparazione al viaggio del Papa?
Il Papa incarna questa attenzione, c’è un posto particolare nel suo cuore per le Chiese orientali. Ma questo deve riguardare anche la curia romana e la Chiesa universale deve aiutare le Chiese orientali a rimanere nelle loro terre e a svilupparsi. Noi siamo le radici del cristianesimo. Se non ci saremo più, allora il cristianesimo non avrà più radici.

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