martedì 4 agosto 2020
Dopo l'appello di papa Francesco all'Angelus, la responsabile del Lavoro assicura l'impegno del governo nell’affrontare la questione occupazionale: decontribuzione al 100% e fondi per la formazione
La ministra Nunzia Catalfo

La ministra Nunzia Catalfo - Archivio

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«Stiamo cercando di compiere ogni sforzo possibile per cercare di riportare in azienda il lavoratore il cui posto è rimasto in “sospeso”». Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro, ha ascoltato l’appello di domenica di papa Francesco e assicura il massimo impegno del governo nell’affrontare la questione occupazionale in questa fase postemergenza: «Giustamente il Pontefice tiene insieme il lavoro e la famiglia, questioni strettamente legate che per noi rappresentano un’assoluta priorità. In particolare sul lavoro siamo pronti a puntare su strumenti concreti che potenzino le politiche attive».

Ministra, con la fine del “divieto di licenziare” e quando terminerà la cassa integrazione come si evita una pensante crisi occupazionale? Nella primissima fase dell’emergenza con gli ammortizzatori sociali e lo stop ai licenziamenti abbiamo fatto sì che si tutelassero milioni di posti lavoro e le attività di migliaia di imprenditori, come hanno dimostrato studi nazionali e internazionali. Ora dobbiamo continuare ad accompagnare le imprese con l’utilizzo di ammortizzatori sociali, offrendo però alle realtà produttive anche la possibilità di riportare il lavoratore in azienda con una decontribuzione al 100%. Con un percorso graduale dobbiamo passare da politiche passive a misure attive.

Oltre alla decontribuzione quali strumenti utilizzerete?
Nel Dl Agosto potenzieremo il Fondo nuove competenze, introdotto nel Decreto Rilancio con l’articolo 88, con altri 500 milioni portando il totale a 730 milioni. Grazie a questo fondo le imprese potranno rimodulare l’orario di lavoro dei propri dipendenti destinando parte di esso alla loro formazione: questa parte dell’orario verrà retribuita dallo Stato. Così, attraverso un mix di misure, pensiamo di favorire la ricollocazione e la riqualificazione e di garantire il più possibile i livelli di occupazione. A ciò si aggiungerà un esonero contributivo al 100% della durata di 6 mesi per nuove assunzioni a tempo indeterminato. E insieme al ministro Franceschini stiamo studiando un ulteriore esonero contributivo di 3 mesi per le assunzioni dei lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali.

È appena terminato il primo tavolo sui rider con sindacati, associazioni e imprese. Si riuscirà ad arrivare a un contratto collettivo nazionale entro quest’anno?
Il primo traguardo lo abbiamo raggiunto con la norma contenuta nel Dl Imprese. Ora l’obiettivo è quello di riuscire a tagliare quello del contratto collettivo nazionale entro il 2020. Il primo confronto è stato positivo e ora ci rivedremo nella seconda settimana di settembre per un nuovo round. Finora comunque sono stati fatti passi avanti importanti sulle tutele, a partire dal riconoscimento dell’assicurazione Inail, e anche a livello europeo siamo uno dei Paesi all’avanguardia su questo punto. Continueremo a lavorare per regolamentare ulteriormente questa tipologia di lavoro di cui abbiamo toccato con mano l’importanza anche nei mesi duri del lockdown.

Come risponde a chi sostiene che il Reddito di emergenza non abbia funzionato?
Dico che ha funzionato e anche bene. Ci sono state più di 200mila famiglie che hanno usufruito di questo fondo e altrettante richieste sono in fase di valutazione dell’Inps. Al 29 luglio sono 574.005 le domande pervenute. In totale, considerando che sono nuclei familiari, parliamo quindi di circa un milione e 400mila persone interessate. Significa che l’emergenza, sottolineata anche dall’Anci, aveva un fondamento. Nella maggioranza stiamo valutando di allungare i tempi per effettuare la domanda oltre il 31 luglio per coloro che sono rimasti esclusi.

Anche sullo smart working si procede a colpi di proroga. Serve una regolamentazione?
Sullo smart working prima dell’emergenza l’Italia era in ritardo rispetto a tanti altri Paesi, poi improvvisamente ci siamo ritrovati con 2 milioni di persone occupate da remoto e possiamo dire che l’esperimento ha funzionato bene. È chiaro che è una modalità di lavoro che garantisce nuove opportunità e maggiore flessibilità; ma bisogna fare attenzione. Non deve essere, per esempio, un modo per tornare indietro per le donne nella conciliazione con il lavoro domestico e di cura. Sarà importante lavorare, anche attraverso il confronto con sindacati e aziende, per regolarizzare lo smart working con diritti (compreso quello alla disconnessione), tutele e regole chiare. Tenendo ben presente che non sarà lo smart working l’unica modalità di lavoro del futuro.

Al centro della sua agenda c’è la riforma degli ammortizzatori sociali. Quale direzione vuole seguire?
Bisognerà distinguere tra ammortizzatori sociali per lavoratori di imprese che si ristrutturano e cambiano pelle in base alle esigenze del mercato e sostegni indirizzati invece a persone occupate in realtà destinate a cessare l’attività. L’impianto della riforma sarà orientato verso un sistema universalistico, che protegga tutti i lavoratori tenendo conto delle specificità di settore e della dimensione delle aziende, e che punti sulla formazione e riqualificazione del lavoratore. Quindi: più politiche attive e meno passive. Vogliamo una riforma che arrivi in tempi rapidi e che sia condivisa con le parti sociali.

Dagli ultimi segnali che arrivano dal mercato del lavoro dobbiamo aspettarci un autunno caldo?
Ho costituito un osservatorio sul mercato del lavoro per monitorare quasi giornalmente i dati e capire come muoversi. In realtà, considerato il periodo duro e delicato, stanno arrivando segnali di ripresa da non sottovalutare. Dal 15 giugno, per esempio, abbiamo visto aumentare di 150mila i contratti a tempo determinato in particolare nel settore del turismo e al Sud, Isole e regioni del Nord Est, recuperando così almeno una parte dei rapporti di lavoro stagionali andati persi con il Covid.

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