mercoledì 17 maggio 2017
Nel documento sui profughi la Conferenza episcopale ligure offre una lettura del fenomeno, analizzando le cause, chiedendo una legislazione italiana ed europea che punti all'integrazione
L'invito a «farsi missionari» e «accogliere i profughi a casa nostra»
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Il dovere dell’accoglienza e della carità concreta è il tema al centro del documento firmato dai vescovi liguri dal titolo “Migranti, segno di Dio che parla alla Chiesa”: “Troppo spesso il tema dei profughi e dei loro Paesi di origine viene trattato superficialmente, sulla base di pregiudizi fondati su una paura dell’altro intenzionalmente costruita, senza un’attenta lettura delle cause di un fenomeno così complesso e di difficile gestione”.

Firmato dagli otto vescovi delle diocesi della Liguria, con la data del 23 aprile, Domenica della Divina Misericordia, ma reso noto in questi giorni, il testo “vuole offrire alle nostre comunità cristiane una riflessione che ci aiuti a leggere le migrazioni come un segno di Dio che parla alla Chiesa, non dimenticando le cause del fenomeno. Vuole, inoltre, aprirsi al confronto con tutti coloro che hanno a cuore il bene della famiglia umana”.

I presuli sottolineano che “il Sud del mondo vive gravissimi problemi che sono la conseguenza di politiche economiche e di strategie geopolitiche che altro non sono che giochi di potere, pagati a caro prezzo soprattutto dai poveri”.

In realtà, “l’arrivo dei richiedenti asilo nei nostri paesi solleva non solo problemi di ordine sociale ed economico, ma anche ecclesiale, perché fa emergere la profonda difficoltà delle nostre comunità a essere evangelizzatrici verso queste persone, anche solo nella modalità dell’accoglienza. Persino il rapporto con gli immigrati cristiani spesso risulta estremamente faticoso”. Di qui la necessità di una “rielaborazione di una missionarietà efficace”, perché “il fenomeno delle migrazioni ci chiede di essere missionari nell'accogliere le genti a casa nostra”.

Ripensare la legislazione europea e italiana sull'accoglienza dei profughi

Il primo passo verso l’accoglienza, suggeriscono i presuli liguri, è cercare di comprendere “le ragioni che spingono enormi masse di persone ad abbandonare il proprio Paese”, dalla mancanza di prospettive al degrado ambientale e al terrorismo, dalle guerre alla violazione dei diritti umani. Di fronte a questi drammi, i vescovi liguri suggeriscono “l’inserimento dei rifugiati nei nostri paesi, come vere risorse umane e culturali”, il superamento della “distinzione di trattamento tra profughi politici e profughi economici” e dell’“attuale legislazione che trasforma circa la metà dei migranti arrivati in ‘clandestini’”, una “legislazione che sancisca il diritto di cittadinanza a quanti hanno portato a compimento un verificabile percorso di integrazione”.
“Occorre ripensare a fondo la legislazione europea e italiana sull'accoglienza dei richiedenti asilo perché abbia come reale obiettivo quello dell’integrazione”, ammoniscono i presuli.

Provare verso i profughi «compassione come Gesù buon samaritano»

In un altro passaggio del testo si legge: “La nostra fede ci chiede un coinvolgimento profondo secondo lo spirito evangelico del ‘provare compassione’ come Gesù buon samaritano”.

“Nello specifico si tratta di comprendere che la migrazione coinvolge la vita di tutti, ci ‘tocca’ tutti in eguale maniera, riguarda l’uomo al di là della provenienza, della religione, della condizione sociale, delle convinzioni politiche”. L’obiettivo non è “solo risolvere il problema contingente dell’accoglienza ma è la costruzione di una società più giusta e accogliente”. Non solo: “Si tratta di saper cogliere dentro il fenomeno delle migrazioni segni di realtà divine, vale a dire il dispiegarsi nella storia del disegno di Dio sull'umanità, del quale la realtà che viviamo è il momento attuale, nell'attesa del ritorno del Signore”.


Per i presuli, “il fenomeno delle migrazioni sollecita le nostre diocesi a un profondo ripensamento delle modalità con cui offriamo la proposta evangelica”, domandando “un rinnovamento del linguaggio e della prassi dell’evangelizzazione a cui, come Chiesa, non possiamo sottrarci”. Il primo passo da cui partire è “quello di un profondo cambio di prospettiva: fino ad ora la missio ad gentes ha prevalentemente favorito l’atteggiamento di chi è chiamato a portare ad altri il Vangelo, la cultura, gli aiuti. Ora il mondo, le culture, le religioni interpellano le nostre chiese”.

Occorre anzitutto “ascoltare: i profughi sono portatori di culture altre, di stili di vita differenti, di sensibilità alternative alle nostre e, quando cristiani, di un patrimonio di esperienza di fede e vita ecclesiale da cui abbiamo molto da imparare, soprattutto in un contesto così secolarizzato come il nostro”.

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