lunedì 1 gennaio 2018
In tremila in marcia per la pace a Sotto il Monte per vincere la sfida contro il riarmo: «La guerra, pur ripudiata formalmente, rischia di essere considerata inevitabile anche nelle nostre comunità»
«Costruiamo la pace a pezzi, ognuno il suo pezzo»
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La pace non ci riguarda solo un giorno all’anno, il primo gennaio. «No, non possiamo starcene in pace» commentava don Renato Sacco, coordinatore di Pax Christi, domenica notte, al termine della marcia che aveva portato tremila persone da Calusco d’Adda a Sotto il Monte lungo quattro tappe. Forse non erano attesi tanti marciatori, perché alcuni ambienti non sono stati in grado di accoglierli tutti. Dalla chiesa di Calusco alla palestra di Villa d’Adda, poi verso la casa natale di san Giovanni XXIII, il PIME e il Giardino della pace, con il finale affidato a don Fabio Corazzina, parroco bresciano, e a Cinzia Guaita, del Comitato riconversione Rwm di Iglesias. Proprio lei concludeva la Marcia ricordando, come aveva fatto al mattino al Pime, l’impegno per la riconversione della fabbrica di bombe che mietono vittime nello Yemen: «Quando mi dicono che non serve a niente, perché i problemi sono ben più grandi, ricordo la “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco; e penso che forse a noi tocca cominciare proprio costruendo la pace a pezzi, ognuno dal suo pezzo».

A ridosso della mezzanotte, la Messa nella tensostruttura di Brusicco è stata celebrata dal vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, con un’altra decina di vescovi. Durante l’omelia Beschi ha chiesto: «Siamo proprio sicuri che vogliamo la pace, o la diamo per scontata? Dobbiamo vincere la sfida contro il riarmo e una guerra che, pur ripudiata formalmente, anche nelle nostre comunità rischia di essere considerata inevitabile, se non perfino giusta».

Domenica mattina secondo e ultimo atto, dedicato al disarmo, del convegno che ha preceduto e preparato la Marcia. L’economista della Cattolica, Raul Caruso, ha negato che i processi di produzione possano essere “neutri”: «Bisogna dire chiaramente che ci sono modi giusti e ingiusti di produrre profitti. Nessuna neutralità, dunque. Questo è il cuore dell’economia della pace». Ci sono attività improduttive o perfino distruttive, e vanno smascherate: «Sono attività che producono profitti ma non partecipano al progresso e al benessere della società».

Caruso mette in guardia da un’economia che si dice neutrale e considera un frigorifero al pari di una pistola, un’economia che non sceglie: «Dobbiamo cominciare a pensare che l’attuale non è l’unica economia possibile». Da parte sua, don Fabio Corazzina ha posto alcune domande radicali a cui nell’immediato futuro Pax Christi deve rispondere: «Chi siamo veramente? Quali sono le nostre priorità? Quali i nostri alleati? E con quali metodi intendiamo perseguire i nostri obiettivi?». Un cambio di marcia, per essere veramente significativi.

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