sabato 30 dicembre 2017
Il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2018, «Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace», va controcorrente. È un testo coraggioso.
Foto Ansa: Papa Francesco lancia la colomba della pace il 30 settembre 2016

Foto Ansa: Papa Francesco lancia la colomba della pace il 30 settembre 2016

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Caro direttore,

il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2018, «Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace», va controcorrente. È un testo coraggioso. In un periodo carico di pregiudizi e volgarità, in un contesto ossessionato da identità chiuse che alimentano paure, che giudicano pericolosi gli insegnanti attivi nell’intercultura perché spiegano la Dichiarazione universale dei diritti umani, che bloccano il riconoscimento di cittadinanza a bambini nati in Italia e frequentanti le nostre scuole, che minacciano chi lavora per l’accoglienza esibendo a volte gesti e scritte neonaziste, il messaggio del Papa è decisamente alternativo alle logiche del nemico, dello scarto e dell’indifferenza. Alternativo al sistema Caino, al sistema Erode e al sistema Pilato.

Il messaggio coinvolge tutti, riguarda il futuro di tutti. Al suo centro vibrano la cura della casa comune e la difesa della dignità umana di chi arriva e di chi può accogliere con prudenza responsabile, con «politiche di accoglienza fino al massimo dei 'limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso'». Quest’ultima frase è ricavata dalla Pacem in terris (57) dove «il bene comune universale solleva problemi complessi, gravissimi, estremamente urgenti, specialmente per ciò che riguarda la sicurezza e la pace mondiale» (69,70). Esso – scriveva papa Giovanni XXIII – è frutto di un «compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà» (87, 18, 78). Un «obiettivo desideratissimo» che è «reclamato dalla retta ragione» e «della più alta utilità» (61, 62). Sulla scia di Giovanni XXIII, papa Francesco ci offre il progetto di una nuova cittadinanza. Il suo è un invito a resistere e a respingere ogni forma di xenofobia e di razzismo, a ricostruire la grammatica della convivenza, ad attivare la capacità di accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Il «necessario realismo» della politica non può diventare «una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza».

Tra le immagini del Papa (popoli in fuga; reticolati e muri) tre mi sembrano quelle più significative: lo sguardo, le mani, la città cantiere. Lo sguardo contemplativo e lungimirante, sapiente e attivo, fiducioso nella possibilità di trasformare difficoltà avvertite come «minaccia» in «opportunità per costruire un futuro di pace». Uno sguardo capace di «riconoscere i germogli di pace che stanno spuntando». Le mani delle persone che arrivano e di quelle che accolgono. L’idea che nessuno giunge a mani vuote e che ogni essere umano ha mani che portano, ricevono, si scambiano doni e «si prendono cura della loro crescita». La città, spesso impaurita e divisa, dove Dio abita e dove si può realizzare «la promessa della pace», dove si può alimentare «un sogno condiviso», quello di diventare un cantiere operoso di pace. Insomma, non si può dire, come ripetono Trump e altri, che «emigrazione è un privilegio».

L’ impegno a favore di migranti e rifugiati è un’applicazione di principi che costituiscono un patrimonio comune di umanità, codificati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e radicati nella nativa costituzione relazionale dell’essere umano. Per questi motivi, sul tema migranti, come su ambiente, armamenti e guerre, il Dicastero vaticano per lo sviluppo umano integrale chiama i credenti a «rendere il nostro mondo più umano» (papa Francesco, Messaggio Urbi et orbi di Natale) contrastando decisioni escludenti, portatrici solo di dolore per «uomini e donne in cerca di pace».

*Presidente Centro studi di Pax Christi

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