mercoledì 6 agosto 2014
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Ha raccontato chi gli stava vicino che desiderava morire senza agonia. Voleva che la sua vita si spegnesse senza riflettori, lontano dalle veglie di popolo che si erano viste con papa Giovanni. Aveva pregato Dio di consentirgli un addio in solitudine. Fu esaudito. Paolo VI, che il prossimo 19 ottobre sarà beatificato, salì alla casa del Padre, quasi all’improvviso, ma preparato al distacco. Era il 6 agosto 1978, papa Montini si trovava a Castel Gandolfo, la sveglia segnava le 21.40. La vicinissima via Appia era gremita di auto di vacanzieri ignari, ancora per poche ore, come il mondo intero, di quanto era accaduto. Ed era un giorno particolare, di grande significato simbolico, quello della Trasfigurazione, festa prediletta da Montini che sotto quella data aveva pubblicato la sua prima enciclica, l’ Ecclesiam Suam.  Insomma, quasi un sigillo, come era accaduto a papa Roncalli spentosi il lunedì di Pentecoste, 3 giugno 1963, o a Giovanni Paolo II, morto alla vigilia della festa della Divina Misericordia, il 2 aprile 2005. «Ecco, fratelli e figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. 'Fidem servavi'! (Ho conservato la fede) possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il 'santo vero'..». Così, nell’ultima omelia in San Pietro, il precedente 29 giugno, nel XV anniversario della sua incoronazione consapevole di una vita «volta al tramonto», aveva lui stesso indicato la cifra del suo servizio sulla cattedra di Pietro, elencando e ribadendo tutti documenti del suo magistero. E il giorno seguente, scrivendo al fratello Lodovico lo ringraziava per le parole augurali «giunte gratissime» con «una consonanza spirituale» – confidò – «che l’ora del vespro, del mio, s’intende, rende più assidua ed interiore». Come osserva Ennio Apeciti nella parte riguardante il pontificato del volume appena edito dall’Istituto Paolo VI insieme a Studium 'Paolo VI, una biografia' a cura di Xenio Toscani (568 pagine, 26 euro), il Papa avvertiva l’imminenza della fine della sua vita terrena e in un appunto personale aveva annotato: «Vigilia finale - Dilexit me. Tutta la mia vita fu una prodigalità di benefici divini - Parce mihi - Cupio dissolvi. Non per delusione, né per stanchezza, ma per albeggiante amore dell’incontro aperto con Cristo. La progressiva mancanza di forze fisiche e mentali deve essere interpretata come una chiamata al supremo amore: in finem dilexit; non come un’abdicazione dalla vera vita». In ogni caso, sino all’ultimo, come documentano anche le altre parti della nuova biografia (nella quale Toscani editore di preziosi carteggi illustra il periodo bresciano e il decennio fucino, Fulvio De Giorgi il Montini in Segreteria di Stato, Giselda Adornato l’episcopato milanese), Paolo VI visse animato da quella passione apostolica che sempre l’aveva spinto al servizio alla Chiesa e agli uomini sostenuto dal dialogo. È quanto emerge pure in moltissime testimonianze raccolte nel processo di beatificazione e nella Positio super virtutibus resa accessibile dopo la dichiarazione dell’eroicità delle virtù alla fine del 2012. Tornando invece al testo preparato per l’Angelus di quel 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo, che non poté pronunciare, ma secondo il suo suggerimento fu letto ai fedeli radunati a mezzogiorno nel cortile del Palazzo Apostolico, ecco tornare a stagliarsi, nitida, la sua profonda riflessione. Tutta concentrata su quel mistero del Signore che «getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana e ci fa rivolgere la mente al destino immortale che quel fatto in sé adombra» perché «fa vedere anche il trascendente destino della nostra natura umana» che parteciperà della «pienezza della vita». «Una sorte incomparabile ci attende – si legge ancora nel testo – se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono ». Non è tutto, quelle parole tornano nella loro bruciante attualità non dimenticando, ad esempio «i disoccupati, che non riescono a provvedere alle crescenti necessità dei loro cari con un lavoro adeguato alla loro preparazione e capacità», né «gli affamati, la cui schiera aumenta giornalmente in proporzioni paurose; e tutti coloro, in generale, che stentano a trovare una sistemazione soddisfacente nella vita economica e sociale». Un Angelus da riscoprire come l’ultimo dono di un papa morto «mormorando il nome del Padre, affidando e consacrando in Lui», – così nella biografia 'Paolo VI nella sua parola' firmata dal segretario monsignor Pasquale Macchi appena rieditata dalla Morcelliana (416 pagine, 25 euro) - «la conclusione della vita terrena e l’aprirsi di quella eterna ». Un Pontefice – si legge nella nuova postfazione a questo volume scritta dal cardinale Loris Capovilla – preoccupato circa le sorti delle Chiese cristiane e dell’intera famiglia umana. E che un giorno gli aveva confidato: «Mi sta molto a cuore la pace interiore della Chiesa, alla quale mi preme sia assicurato il generoso fermento del Concilio ecumenico nell’integrità dell’autentica fede e nella coesione della carità e della disciplina. E non meno mi sta a cuore la pace civile e sociale del mondo». «Lo disse con forza e con pena quel 'mi sta a cuore'», postilla il porporato già contubernale di san Giovanni XXIII. E aggiunge: «Ora egli prega perché questo impegno stia a cuore a tutti noi».
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