mercoledì 21 ottobre 2015
Al Sinodo la voce e la testimonianza di sposi e laici dai vari continenti
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Le famiglie cristiane vivono, crescono e sono come lievito nei cinque continenti, pur lottando contro innumerevoli pressioni sociali. Anzi, soprattutto per questo. Ciò è quanto hanno trasmesso al Sinodo le famiglie, i laici e i religiosi impegnati nella pastorale familiare invitati come uditori, tutti intervenuti nel corso delle congregazioni generali del 15 e 16 ottobre. Ieri la Sala stampa vaticana, che ha aveva reso pubblici i contenuti di alcuni di questi interventi nei giorni scorsi, ha divulgato i restanti. Ne è emerso un affresco composto da storie come quella della famiglia Paloni, famiglia itinerante del Cammino neocatecumenale, da undici anni in missione in Olanda, con dodici figli. «Quotidianamente intorno a noi vediamo tanta sofferenza, separazioni, aborti, persone sole senza speranza» hanno detto i coniugi, convinti che «il mondo sta aspettando la testimonianza della famiglia cristiana» e che «se le famiglie saranno sostenute a riconoscere la verità dell’Humanae vitae, risponderemo alla crisi della famiglia, perché come abbiamo sperimentato la comunità cristiana salva la famiglia e la famiglia salva la Chiesa». I coniugi de Rezende, dal Brasile, 35 anni di matrimonio e 7 figli, entrambi docenti universitari, hanno parlato del carburante che alimenta la vita ordinaria di una moltitudine di “Chiese domestiche”, ovvero la «gioia». La gioia che nasce dall’intrecciarsi di relazioni d’amore ed è in grado di attirare e convertire altre coppie ferite o che avanzano a tentoni nel loro cammino. I Diaz Victoria, colombiani, direttori della Fondazione Hombres y Mujeres del Futuro, hanno invece toccato il tema speculare a quello della gioia: quello delle rotture. E hanno individuato come piaga concreta da sanare, su cui concentrare gli sforzi di vescovi e operatori, quella dei «maltrattamenti» in famiglia, psicologici e ed emotivi prima di tutto.In una serie di testimonianze che nel giro di pochi minuti spostavano l’attenzione da un angolo all’altro del globo, è toccato a Garas Boulos Garas Bishay, parroco della parrocchia cattolica di Sharm el Sheik, in Egitto, ricordare il problema dei matrimoni misti, fra musulmani e donne cristiane straniere, poi costrette a convertirsi, fenomeno sempre più diffuso nelle zone turistiche. Che il lavoro con le famiglie richieda accortezza e umiltà, è stato il messaggio di fondo di Marie Harries, direttrice nazionale della pastorale familiare in Australia, che ha portato ad esempio due casi: gli aborigeni ai margini della società, alla gran parte dei quali «è totalmente aliena l’idea di famiglia secondo l’insegnamento della Chiesa»; la pastorale con le persone abusate sessualmente nell’infanzia da familiari o anche da sacerdoti e religiosi. Se gli sposi Gay Montalvo, di Barcellona, lui un ex giudice della Corte Costituzionale, hanno raccontato la storia di una famiglia fortificatasi con le virtù della fede e della carità, Brenda Kim Nayoung, impegnata nella pastorale dei giovani sposi in Corea del Sud, ha riportato l’attenzione sul contesto di crisi sociale, questa volta in Asia. E ha spiegato come in patria si parli di «generazione Sampo», usando un acronimo della lingua locale, che si caratterizza per aver dismesso tre cose: «corteggiamento», «matrimonio» e «il mettere al mondo bambini». Cambiando ancora una volta scenario, i coniugi Marqus Odeesho, dell’Iraq, hanno raccontato in poche e drammatiche parole cosa vuol dire essere una famiglia cristiana tra «rapimenti, bombe, furti e terrore».Dalla Costa Rica, suor Berta Maria Porras Fallas, in base alla sua esperienza sul campo ha quindi segnalato tre «assi» della cura pastorale delle giovani coppie: discernimento della chiamata, approfondimento della polarità uomo/donna, l’amore attraverso la donazione sessuale. I coniugi Pulikowski, consultori dell’arcidiocesi di Poznan in Polonia, hanno invece chiesto ai padri sinodali di valorizzare coloro vivono con coerenza la propria vocazione o condizione, dalle «coppie che non possono avere figli ma rifiutano metodi di concepimenti contrari all’etica», a coloro che non hanno potuto creare una famiglia «e vivono da soli e fedeli all’insegnamento della Chiesa». A sua volta, la famiglia Rojas, dalla Colombia, del movimento dei Focolari, ha offerto un esempio di carisma dell’unità vissuto in casa: una grave lite superata dal perdono, un’esigenza di riconciliazione maturata di fronte all’Eucaristia. Edgar Humberto, bioeticista peruviano, ha suggerito quindi che nei numeri 140 e 141 dell’Instrumentum laboris siano esplicitate chiaramente le attuali minacce alla vita, e quindi anche la famiglia, da metodi anticoncezionali ma in realtà abortivi, alla rivoluzione della fecondazione assistita.Infine, sono arrivati due appelli ai padri sinodali a considerare maggiormente il ruolo della donna nella riflessione sulla famiglia: uno da parte di suor Maureen Kelleher, statunitense, un altro da parte della storica Lucetta Scaraffia. «Le donne sono le grandi esperte di famiglia: se usciamo dalle teorie astratte, specialmente a loro ci si può rivolgere per capire cosa bisogna fare» ha detto Scaraffia, che ha notato poi, con una punta polemica, «Invece, sia nel testo (dell’Instrumentum laboris ndr) che nei contributi, di donne, di noi, si parla pochissimo», «come se si potesse continuare, perfino a proposito della famiglia, a far finta che le donne non esistono».
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