
Il cardinale Jean-Paul Vesco, 63 anni, domenicano francese e arcivescovo di Algeri - Gambassi
«No, non credo che ci sarà un Francesco II, un Papa che di nuovo si chiamerà come il santo d’Assisi». Il cardinale Jean-Paul Vesco sfiora con una mano la sua croce pettorale. «Non so quale nome sceglierà il prossimo Pontefice. Con papa Bergoglio il nome Francesco ha funzionato bene, anzi benissimo. Ma penso che abbia potuto funzionare solo con lui». Ama parlare chiaro l’arcivescovo di Algeri. E indossare l’abito bianco domenicano, l’ordine a cui appartiene. In piazza San Pietro o alle Congregazioni generali si presenta così. E con lo zucchetto rosso. Cardinale dallo scorso dicembre nell’ultimo Concistoro di papa Francesco. «Francesco ci consegna una Chiesa sana, che ha evitato il rischio di spegnersi - racconta la berretta d’origine francese ad Avvenire -. E ci affida una Chiesa impegnata in un cammino di riforma che è a buon punto. Per questo mi piace definirlo un Papa riformatore. Ritengo che il suo pontificato lascerà un segno nella storia. Anzi, lo ha già lasciato se penso alle centinaia di migliaia di persone giunte a Roma per rendergli omaggio o alle parole di affetto che gli hanno riservato gli algerini dopo la morte». Sessantatré anni, originario di Lione ed ex avvocato, maratoneta per passione, Vesco è ad Algeri dalla fine del 2021 dopo aver guidato la diocesi di Orano, quella in cui era stato vescovo Pierre Claverie, domenicano come lui. Assassinato nel 1996. E beato dal 2018. Un cardinale della “fratellanza universale” in un Paese tutto musulmano dove i cristiani sono una piccola minoranza. E “aperturista” sotto molti punti di vista.
Eminenza, Francesco è stato il Papa del dialogo con il mondo islamico. Come si proseguirà?
«Direi che è stato il Papa della fraternità perché semplicemente ha messo al primo posto l’uomo. Non partiva dalla dottrina ma dalla persona. E così è scaturito tutto il suo impegno per la fraternità della famiglia umana».
Papa Bergoglio consegna al suo successore il Documento di Abu Dhabi firmato da lui e dal grande imam di al-Azhar. Testo storico…
«Lo considero un documento di immensa speranza e di forte delusione. Immensa speranza perché non avrei mai immaginato che due leader religiosi potessero arrivare a tanto: il loro è stato un incontro per il bene dell’umanità in cui le barriere teologiche non sono divenute un ostacolo. Forte delusione perché sia nella Chiesa cattolica, sia nel pianeta musulmano il testo non è stato ripreso e non ha prodotto rivelanti effetti. Spero che il successore di Francesco rilanci la sfida della fraternità che è anzitutto la sfida del dialogo con il mondo. La Chiesa è nel mondo e con il mondo deve confrontarsi».
Perché in Occidente chi è musulmano fa paura?
«È sorprendente: in Occidente un musulmano fa paura; e nei Paesi islamici un cristiano fa paura. Ci temiamo a vicenda. Perciò la conoscenza reciproca è essenziale. Come è fondamentale comprendere che l’altro ha in sé una parte della verità su Dio che a me sfugge. Pierre Claverie sosteneva: “Nessuno possiede la verità. Ognuno la ricerca e io ho bisogno della verità degli altri”. Cristo è, sì, la via, la verità, la vita; e ci conduce al Padre. Ma io non controllo il piano di salvezza di Dio per l’umanità. E Gesù è morto per redimere tutti, non solo alcuni. Ecco perché considero più importante l’ortoprassi che l’ortodossia».
Papa Francesco invitava ad annunciare la gioia del Vangelo e biasimava il proselitismo.
«Straordinario. L’aveva ripetuto anche durante la sua visita in Marocco. E mi sono detto: è la prima volta che sento questo da un capo religioso e sarebbe impensabile da parte di un leader musulmano. Con le sue parole Francesco ci ha ricordato, da una parte, quanto conti essere testimoni credibili e, dall’altra, il primato della libertà di coscienza. Poi il Papa sottolineava che il tempo è superiore allo spazio. Il proselitismo presuppone spazi da occupare, mentre il primato del tempo è richiamo ad attendere i frutti di ciò che si semina».
Francesco ha voluto la riforma della Curia Romana. Il suo successore la completerà?
«C’è chi sostiene che adesso la Chiesa sia a punto di svolta. Invece penso che abbia imboccato la direzione giusta: quella intrapresa da papa Francesco. Quindi sognerei che il prossimo Papa salpi seguendo la stessa rotta e non cambi direzione. Aggiungo che Francesco ha contribuito a far progredire la mentalità ecclesiale. Ricordo che, quando sono stato ricevuto in udienza da lui, mi ha ripetuto che è possibile conciliare “una Chiesa che sia per tutti, per tutti, per tutti” e i valori che la comunità ecclesiale difende».
Ha suscitato critiche Fiducia supplicans, la dichiarazione che apre alle benedizioni per le coppie “irregolari”, comprese quelle omosessuali.
«È stato forse il suo documento più difficile. Il Signore ama incondizionatamente, come un padre ama il figlio senza riserve. Non afferma: “Se fai questo, ti rinnego”. Il Signore non ci rinnegherà mai. Come sacerdoti e vescovi, abbiamo l’opportunità di dire “Sei benedetto” qualunque sia la tua situazione da cui puoi uscire. È sbalorditivo un Papa che ci abbia liberato fino a tal punto».
E la Comunione ai separati e risposati?
«Abbiamo avuto due Sinodi sulla famiglia e il piccolo passo in avanti sul tema è in una nota di Amoris Laetitia che lascia una possibilità di riconciliazione con relativo accompagnamento e di reinserimento nella comunità. Considero triste il fatto che si voglia annullare il matrimonio per tornare a ricevere la Comunione. Il matrimonio è qualcosa di serio, ma anche di rischioso per gli incidenti che possono capitare. La Chiesa non può dire: non hai il diritto di ricostruirti una vita dopo il fallimento subito».
Il ruolo delle donne nella Chiesa. Che cosa attendersi dopo la “ventata di novità” di papa Bergoglio?
«Francesco è arrivato fin dove è riuscito, lasciando ad esempio da parte il sacerdozio o il diaconato femminile. Ha affidato alle donne incarichi nella Curia Romana e auspico che non si torni indietro. Certo, nelle diocesi abbiamo già donne economo o responsabile di uffici. Il Papa ha avuto l’intelligenza di non fare il passo più lungo della gamba per evitare rotture o scismi».
C’è chi sostiene che una sinodalità “spinta” possa sminuire il ruolo dei vescovi.
«Se ci limitiamo alla figura del vescovo legata al sacramento dell’Ordine, tutto si blocca. Francesco ha coinvolto laici o religiose nel Sinodo dei vescovi che, quindi, dovrebbe anche cambiare nome. E penso sia impensabile che siano soltanto i vescovi a decidere il futuro della Chiesa: se, quindi, ci sarà un Concilio Vaticano III, non potrà essere sulla falsariga di quelli che sono stati celebrati in passato».
L’attuale Collegio cardinalizio abbraccia davvero il mondo. Una ricchezza o troppe sensibilità diverse?
«La diversità geografica non è detto corrisponda a sensibilità differenti. Troviamo visioni condivise in tutte le aree. E la diversità evita pressioni: penso ai gruppi nazionali. Però noi cardinali non abbiamo avuto la possibilità di conoscerci in precedenza, magari dicendoci: “Vediamoci per un caffè e presentiamoci”. Al massimo ci siamo incrociati in una sagrestia. Vale la pena rivedere questa impostazione».