martedì 23 agosto 2022
Intervista al nuovo cardinale, che ha compiuto 80 anni a febbraio
L’arcivescovo Fortunato Frezza nella sua abitazione in Vaticano

L’arcivescovo Fortunato Frezza nella sua abitazione in Vaticano - Rizzi

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Si sente un parroco per vocazione («l’ho fatto per quasi 18 anni»), un latinista (fu lui a scrivere nella lingua di Cicerone l’inno per santa Francesca Romana nel 2008 per il IV centenario della canonizzazione) per studio e un poeta per passione. Ma soprattutto si avverte come un biblista innamorato della Parola di Dio, del canto gregoriano e con una predilezione «oltre che per Angela da Foligno» per il calcio e la sua squadra prediletta di cui è stato cappellano (1986-2011): la Roma.

È il biglietto da visita con cui ci riceve nella sua abitazione nel Palazzo della Canonica l’arcivescovo Fortunato Frezza che sabato verrà creato cardinale da papa Francesco, assieme ad altri diciannove scelti dal Pontefice. Una vita quella di “don Fortunato” così ama farsi chiamare, – romano classe 1942, ha compiuto 80 anni il 6 febbraio scorso, ma incardinatosi e formatosi come prete nella diocesi di Bagnoregio oggi accorpata a Viterbo, – spesa al servizio della Sede Apostolica come membro e poi sotto-segretario della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi (1984-2014).

«La mia designazione a cardinale – è la confidenza del futuro porporato – l’ho vissuta con un sentimento di stordimento e sorpresa. Il Papa mi conosce dal lontano 1994 quando Bergoglio era vescovo ausiliare di Buenos Aires e poi l’ho rivisto pochi giorni dopo la sua elezione al Soglio di Pietro nel marzo del 2013. Mi colpì da subito la memoria proverbiale del Pontefice e le parole con cui mi salutò: “Caro don Fortunato ci conosciamo da quasi vent’anni...”. L’ultima volta che ho visto “faccia a faccia” papa Francesco è stato nel 2014 quando mi ha invitato a pranzo a Casa Santa Marta al momento del mio congedo e prima della pensione, come sottosegretario del Sinodo dei Vescovi. Forse l’aver conferito la berretta alla mia persona è un gesto di riconoscimento da parte del Pontefice per tanti che come me che cercano di servire la Santa Sede con riservatezza, avendo sempre lo sguardo rivolto alla Chiesa nella sua dimensione di pastoralità e universalità».

Uno spezzone importante della sua vita accademica e della sua formazione presbiterale è stato quello di aver potuto frequentare il Pontificio Istituto Biblico di Roma. Che ricordi ha di quegli anni?
Ho avuto il privilegio di aver grandi maestri di Sacra Scrittura, frequentando il Biblico (1967-77) e di aver conosciuto da vicino esegeti del valore, e tutti gesuiti, di Albert Vanhoye, Stanislas Lyonnet, Ignace de la Potterie, Pietro Boccaccio, profondo conoscitore dell’ebraico e non da ultimo di Carlo Maria Martini con cui seguii l’esame che più mi è rimasto nel cuore, per me che sono per natura un filologo: la critica testuale. Ancora oggi quel corso, apparentemente arido, del futuro cardinale Martini, insegnato allora tutto in latino, mi è rimasto nel cuore per l’attenzione che il gesuita torinese poneva sull’importanza dei dettagli e dei particolari quando si fa critica del testo.

Uno studio quello della Parola di Dio che l’ha spinta ad approfondire un autore dell’Antico Testamento come Michea.
Mi sono laureato in filologia ebraica sul libro del profeta Michea, vissuto tra l’VIII e il VII secolo avanti Cristo. Scelsi questo autore per conoscere meglio le parentele filologiche tra ebraico e lingua ugaritica. A seguirmi nella tesi di laurea fu un gesuita, un’autentica autorità allora in quel campo, Mitchell Dahood. La Parola di Dio è tutto per me e la Chiesa stessa è parola. Come sconfinato è il mio amore per la Terra Santa. Ringrazio il vescovo di Bagnoregio Luigi Rosa che ha assecondato questa mia passione per la Bibbia . Grazie a questo pastore mi sono specializzato in Sacra Scrittura mantenendo con lui l’impegno che avrei fatto allo stesso tempo il parroco in diocesi. Cosa che ho fatto con grande gioia e impegno per 18 anni dal giorno della mia ordinazione presbiterale nel 1966 fino al 1984, quando fui chiamato dalla Santa Sede ad un altro incarico.

Nel 1986 quasi per uno strano disegno del destino viene scelto dal presidente della Roma, il leggendario Dino Viola, come cappellano ufficiale della squadra giallorossa.
Quella designazione avvenne perché si conosceva la mia passione per la squadra della Capitale ma anche perché da sempre sono stato un appassionato di calcio. Per anni anche da “semplice” prete ho giocato nel ruolo di libero sia in parrocchia sia poi nella squadra della gendarmeria vaticana. Sono stato iscritto alla Figc (Federazione italiana gioco calcio) nei campionati di terza categoria. Gli anni trascorsi nel campo di Trigoria fino all’avvento degli americani di James Pallotta nel 2011 mi hanno consentito di conoscere tanti ragazzi e tante promesse, tra questi anche Francesco Totti che ho conosciuto nelle giovanili quando aveva tredici o quattordici anni. Francesco è rimasto il ragazzo buono e riservato di sempre. Sono stati anni che grazie anche ai momenti di condivisione vissuti durante le Messe nella cappella costruita apposta dalla squadra giallorossa ho potuto stare accanto a questi giovani e ad aiutarli a crescere anche nella loro educazione cristiana.

Un futuro cardinale appassionato di musica sacra e specializzato nella traduzione bilingue italiano-latino della Bibbia. Ci può spiegare questa altra sua predilezione?
Ho dedicato buona parte del mio tempo quando ero libero dagli impegni all’interno della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi a curare e a studiare la traduzione bilingue italiano-latino della Bibbia: tra queste anche quella del 2015 edita dalla Libreria editrice vaticana (Lev). Recentemente nel 2019 con i risparmi frutto del mio lungo servizio in Vaticano ho fatto stampare e pubblicare, a mie spese, grazie alla Tipografia vaticana un’altra edizione della Bibbia. All’interno di questo corposo volume ci sono i commentari e tutta la ricerca dedicata alla Scrittura da ben ventisei biblisti italiani, me compreso. Questo lavoro è curato da me e dal grande biblista il giuseppino del Murialdo Giuseppe Danieli. Con questo ricordo ho voluto rendere un omaggio postumo a questo religioso che è stato il padre nobile come segretario coordinatore del gruppo di studiosi che tradusse la Bibbia Cei, un lavoro durato dal 1978 al 2008.

Come vive oggi questa sua nomina cardinalizia?
Come un servizio alla Chiesa universale. Come quando ero nella segreteria generale del Sinodo dei Vescovi la cosa più importante che ho sperimentato non è stato tanto stare accanto a grandi Papi come Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco ma respirare con e grazie a loro un grande senso di comunione ecclesiale. La Chiesa per me è una vocazione a servire e non una scalata o una ricerca personale del potere.

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