mercoledì 22 settembre 2010
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Una lettera scritta due mesi prima di morire. E che alla luce di quanto poi è successo sembra quasi un testamento spirituale. «La fecondità del perdono di fronte alla sterile alternativa dell’odio e della vendetta». La civiltà dell’amore al posto della legge del taglione. Monsignor Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca e vicario apostolico d’Anatolia, assassinato il 3 giugno scorso a Iskenderun, non poteva immaginare che le parole scritte a suor Chiara Laura Serboli, abbadessa del Monastero Santa Chiara di Camerino, sarebbero diventate quasi una testimonianza ante litteram del suo sacrificio, resa ancora più vera dal tragico evento che avrebbe reciso la sua vita terrena. Ma così è. E adesso che la lettera è stata pubblicata integralmente nella rivista delle Clarisse e ripresa dall’agenzia Sir, ci si può rendere conto della profondità di fede e della limpidezza d’animo di questo pastore che ha offerto la sua vita per restare fedele alla missione che la Chiesa gli aveva affidato.I fatti innanzitutto. È il 3 aprile scorso. Il presule prende carta e penna e scrive alla monaca sua amica in occasione della canonizzazione della beata Camilla Battista da Varano che avverrà il prossimo 17 ottobre, durante il Sinodo per il Medio Oriente che ha per tema La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. Non è una scelta casuale. Nella biografia della donna spicca una prova particolare che seppe superare proprio grazie alla forza del perdono. La sua famiglia fu trucidata nell’ambito delle lotte territoriali che coinvolsero Cesare Borgia e i signori locali. Ma la beata Camilla seppe trasformare l’odio in amore. Così il suo esempio viene preso da Padovese come una luce che può illuminare le dolorose vicende di Terra Santa e di tutti i Paesi in cui i cristiani sono perseguitati.«Le Chiese del Medio Oriente – scrive il presule – vivono da anni situazioni di grande tribolazione spesso culminanti in atti di vera e propria persecuzione, come avviene purtroppo, con frequenza quotidiana, in Iraq e non solo. Lo stesso Benedetto XVI, nello scegliere il tema, ha voluto sottolineare il bisogno e la sete di pace che il Medio Oriente vive. L’indicazione del Papa ci invita a riflettere innanzitutto sulla comunione e sulla testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare nel contesto di un territorio così tormentato come il nostro».Perciò Padovese chiede alla comunità delle clarisse di Camerino di pregare perché «questa terra martoriata trasformi tanto dolore in invocazione di pace e annuncio di perdono». Ed ecco il collegamento con la clarissa di cinque secoli fa. «Le tragiche vicende politiche che travolsero la famiglia di Camilla Battista, fino ad arrivare allo sterminio dei suoi cari e all’esilio per lei, pur nella drammaticità non ebbero la meglio su questa donna – ricorda Padovese –. Ella ebbe la forza interiore di pregare per i suoi nemici fino a trasformare l’odio di cui era stata fatta oggetto in occasione di perdono e di amore eroico». Per il presule, «queste stesse virtù, oggi, a distanza di 500 anni, ne fanno un modello per tutta la Chiesa e per tutti gli uomini. Per questo mi sento di dire – conclude – che, anche per i cristiani delle nostre comunità vessate dalla persecuzione e dalla violenza, la beata Camilla Battista può diventare un esempio di riconciliazione e un’occasione per ritrovare speranza attingendo alla sorgente della Passione di Cristo». Parole che adesso colpiscono ancora di più. E che fanno apparire il sacrificio di Padovese come una reale adesione alle sofferenze di Cristo. Offrendo anche l’indicazione di un cammino che non renda vana l’offerta della sua vita.
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