giovedì 28 marzo 2019
La giornalista accusata di essere troppo “obbediente”: «Mi piace la schiettezza. Nessuna contrapposizione. La presenza delle donne nella Chiesa non può essere misurata solo in termini di potere»
La giornalista Monica Mondo

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Monica Mondo ammette di essere sorpresa. E anche un po’ preoccupata: «Non vorrei – dice – che questa vicenda venisse strumentalizzata per far immaginare chissà quale retroscena o contrapposizione. Al di là delle intenzioni, ne verrebbe un male per la Chiesa». Autore e conduttore per Tv2000 (è lei stessa a chiedere l’uso del maschile), ha da poco ripreso a collaborare con L’Osservatore Romano e suo è uno degli articoli che avrebbero persuaso la redazione dell’inserto mensile Donne Chiesa Mondo a dimettersi in blocco, ponendo fine a un’esperienza avviata nel 2012 sotto la direzione della storica Lucetta Scaraffia. È stata quest’ultima, in un’intervista apparsa sull’Huffington Post, a fare espressamente il nome di Monica Mondo, il cui intervento sul docufilm “Religiose abusate, l’altro scandalo della Chiesa” avrebbe sostenuto «posizioni opposte» rispetto a quelle già espresse dal mensile. Una visione più conciliante e meno combattiva, insomma, da ricondurre a quello che, nella lettera in cui annuncia a papa Francesco l’addio di Donne Chiesa Mondo, la stessa Scaraffia considera l’«antiquato e arido costume della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili». Tutto sta a capire se la diretta interessata si riconosca nella definizione.

«Non sono mai stata una persona granché obbediente – risponde Monica Mondo –. Mi piace interrogarmi, lasciarmi inquietare dal dubbio, dissentire. Conosco da anni l’attuale prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Paolo Ruffini, e anche Andrea Monda, il nuovo direttore de L’Osservatore Romano: neppure con loro le discussioni sono mancate. Spesso ci siamo trovati su posizioni differenti, ma ci siamo sempre confrontati con schiettezza».

Posso chiederle chi le ha chiesto di scrivere quel famoso articolo?

Nessuno me lo chiesto, è stata una mia iniziativa. Ho iniziato a guardare il docufilm con la speranza che rappresentasse con enfasi eccessiva episodi non veri o comunque non accertati, ma purtroppo mi sono resa conto che non era così. Con una stretta al cuore, ho capito che il fenomeno è reale, che molte religiose patiscono abusi e violenze da parte di sacerdoti. Mi sono presa del tempo per verificare e in un paio di casi mi è sembrato che ci fosse, da parte degli autori del film, una durezza eccessiva, come se la volontà di colpire la Chiesa stesse prevalendo sul desiderio di dire la verità. Dopo di che, ho scritto di getto, nella convinzione che la mia testimonianza non sarebbe stata pubblicata.

E perché?

Perché avevo la sensazione di aver ecceduto nella denuncia di un fenomeno di cui, fino a poco prima, io stessa avevo ignorato la drammaticità e la portata. Di sicuro non volevo minimizzare, né tanto meno giustificare. Semmai, denunciavo il fatto che si fosse taciuto troppo a lungo.

Sul docufilm, però, Donne Chiesa Mondo si era già pronunciato.

Ma questo non impediva a L’Osservatore di tornare sul tema. Magari da un altro punto di vista, che però (ci tengo a ribadirlo) era pur sempre un punto di vista femminile. Un fatto che avrebbe potuto essere apprezzato, anche avviando una discussione. Mi piace pensare che questo sia ancora possibile, purché si riesca a ristabilire un clima di serenità. La mia personale convinzione è che, specie su argomenti di questa importanza, non esistano competenze esclusive e che, di conseguenza, non abbia senso lamentare l’invasione di campo.

La Chiesa, secondo lei, ascolta abbastanza la voce delle donne?

Ancora troppo poco, ma lo fa sempre di più. In questo senso da papa Francesco vengono indicazioni che non possono essere equivocate. Ma una maggior presenza delle donne, a mio avviso, non si misura necessariamente in termini di potere. Guardiamo quello che è già accaduto in politica e in altri settori: le posizioni di vertice non corrispondono in modo automatico alla valorizzazione di quello che Giovanni Paolo II chiamava il «genio femminile ». Anche di questo, lo ripeto, vorrei che si discutesse.

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