venerdì 13 dicembre 2024
Il presidente della Cei, cardinale Zuppi alla presentazione del volume dedicato al sacerdote promotore della diffusione dell'esperienza di Comunione e libreazione a Roma
Un momento dell'incontro svoltosi all'Università Lateranense

Un momento dell'incontro svoltosi all'Università Lateranense - Picariello

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«Viviamo un momento in cui c’è quasi paura dell’Incarnazione. Ci si rifugia nel virtuale, nello spiritualismo per sfuggire la realtà e la vita reale». Al contrario, le omelie di don Giacomo Tantardini, nel ricordo del cardinale Matteo Zuppi « sono tutte incentrate, come la sua vita, sull’Incarnazione e sulla Grazia, ossia sul Dio fatto uomo. Brevi e incisive, anche sotto gli 8 minuti canonici indicati da papa Francesco». L’altra sera il presidente della Cei è intervenuto alla Pontificia università Urbaniana alla presentazione del libro, edito dalla Libreria editrice vaticana, È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio che raccoglie le omelie del sabato sera a San Lorenzo fuori le Mura del sacerdote lombardo. Orginario di Barzio, in provincia di Lecco, la storia di don Tantardini è però profondamente legata alla città di Roma: a lungo responsabile della comunità di Comunione e Liberazione, promotore dell’esperienza di don Giussani negli atenei della Capitale, e animatore del mensile 30giorni. Sono le omelie degli ultimi anni della sua vita (2007-2012) in cui nacque un’amicizia con l’allora cardinale Bergoglio, che non di rado andava a fagli faceva visita quando veniva a Roma.

«Don Giacomo vorrebbe essere ricordato con il suo carattere e non come un santino - ha proseguito Zuppi -. Era un timido che nelle omelie si trasformava e sembrava vedere ciò che pregava, convinto, come Sant’Agostino, che la cultura cristiana smarrisce il suo compito se è riferita al passato, e non alla realtà, al presente. Se non poggia sulla Grazia, e quindi sull’Incarnazione, perde la sua attrattiva, non è in grado di incidere», conclude l’arcivescovo di Bologna.

Prima di lui aveva parlato don Donato Perron, altro settentrionale (valdostano) trapiantato a Roma «compagno di avventura e di appartamento» nei primi anni Settanta di don Tantardini. Ne ricorda la «totale immedesimazione in Gesù», che affascinò migliaia di giovani che sia avvicinarono all’esperienza di Cl in quegli anni di fuga dalla Chiesa per inseguire le utopie ideologiche, che sfociavano spesso nelle delusioni e nella violenza. «Parlando con lui si percepiva un Suggeritore. Si trattava solo di vedere questa Presenza, che ci invitava a contemplare e seguire», ha detto don Perron, che è stato a lungo parroco di Sant’Alberto Magno a Roma. L’avvocato Roberto Gerosa ha raccontato la grande unità che ci fu fra don Tantardini e don Giussani, nella comune consapevolezza che «Gesù era necessario, era necessaria la sua umanità». E quindi «oggi guardando dove guardava don Giacomo, noi oggi possiamo come Zaccheo, figura a lui tanto cara, riconoscerci nella stessa storia e nella stessa paternità», ha sottolineato don Remigio Bellizio, responsabile di Comunione e Liberazione di Roma e del Lazio, che ha promosso l’incontro insieme al Centro culturale Roma Incontra.

In collegamento il curatore del volume, il professor Massimo Borghesi, docente emerito di filosofia morale all’Università di Perugia, ha ricostruito la genesi del volume, una vecchia idea concretizzatasi dopo il colloquio che ebbe con il Papa, il 13 marzo del 2023. «Un progetto che, valorizzando le preziose registrazioni delle omelie da parte di Mario Iannotta, mi ha spinto a ricordare un sacerdote a cui ho voluto bene e che mi ha voluto bene».

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