domenica 10 luglio 2016
Morto sabato 9 luglio, le esequie del cardinale Silvano Piovanelli si celebrano martedì 12 luglio nella Cattedrale di Firenze. Lunedì 11 luglio alle 21 veglia di preghiera. IL RITRATTO L'ex sindaco di Firenze: uomo del dialogo anche coi lontani
Martedì i funerali del «cardinale parroco»
COMMENTA E CONDIVIDI
Aveva scelto anche la Rete per continuare a tenere le sue «predicazioni » che il poeta Mario Luzi qualificò come «umanissime». A ottantotto anni, nel 2012, il cardinale Silvano Piovanelli si era tuffato su Facebook con una propria pagina. E ogni settimana inviava la sua newsletter che giustamente chiamava Lectio. In una dello scorso gennaio scriveva: «Bisogna sempre dire due volte Amen. Perché Amen significa “così è” e insieme “così sia”». Aveva un grande amore per la Parola l’arcivescovo emerito di Firenze, morto sabato 9 luglio a 92 anni. Non è un caso che lo avesse evidenziato nel suo motto episcopale: In Verbo tuo. Dopo aver lasciato il governo della Chiesa fiorentina, che aveva guidato per diciotto anni (dal 1983 al 2001), era comunque rimasto un instancabile “apostolo” della Scrittura. Girava l’Italia per tenere incontri e ritiri spirituali: non più con i foglietti scritti a mano in bella calligrafia con rare correzioni, ma con testi composti al computer e slide presentate con il videoproiettore che si portava dietro. E all’Anno liturgico erano dedicati i suoi ultimi libri fra cui quello intitolato Sulle orme della misericordia che quasi annunciava l’Anno Santo voluto da papa Francesco.  È stato un cardinale “parroco”, Silvano Piovanelli. Fiorentino fra i fiorentini, uno dei grandi “figli” che questa vivace Chiesa – di cui poi il porporato sarebbe diventato “padre” e maestro – ha espresso nell’ultimo secolo. Come il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, che di Piovanelli era compagno di Seminario. Come monsignor Giulio Facibeni, il sacerdote degli “umili”, di cui il giovane don Silvano era stato cooperatore nella Pieve di Rifredi. O come il cardinale arcivescovo Elia Dalla Costa che lo aveva ordinato prete il 13 luglio 1947 e da cui aveva imparato la prossimità alla Parola. Proprio dell’eredità di Dalla Costa l’arcivescovo emerito aveva parlato in una conferenza in preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze.  Fisico asciutto e allenato, battuta pronta, grande lettore, sempre attento nell’ascoltare chi aveva davanti, Piovanelli era nato a Ronta, nel Mugello, il 21 febbraio 1924. Suo babbo era un muratore, la mamma una casalinga. A undici anni si era trasferito a Firenze per iniziare il suo percorso di formazione che lo avrebbe condotto al sacerdozio. Il suo primo incarico pastorale accanto a Facibeni lo vide impegnato nella periferia industriale del capoluogo.  Nel 1948 tornò in Seminario: come vicerettore e poi come responsabile unico. Nel 1960 di nuovo in parrocchia, alla guida della comunità di Castelfiorentino, il «Comune più rosso d’Italia» per la sua lunga tradizione politica. Fino al 1979 quando venne chiamato in Curia dal cardinale arcivescovo Giovanni Benelli che aveva in mente di iniziare la visita pastorale. Sarà pro-vicario generale e poi vicario generale. Nel 1982 venne eletto ausiliare ed ordinato vescovo il 24 giugno dello stesso anno. Dopo la morte improvvisa di Benelli – il 26 ottobre 1982 – Giovanni Paolo II lo volle come arcivescovo di Firenze. Sarà proprio Wojtyla a crearlo cardinale il 25 maggio 1985. Il suo lungo episcopato è segnato dalla conclusione della visita pastorale, dalle dieci Lettere pastorali indirizzate alla Chiesa fiorentina che invitava a «camminare insieme», dalla presidenza della Conferenza episcopale toscana, dall’incarico di vice-presidente della Cei. Convinto che non si potesse prescindere dalla missione ad gentes, Piovanelli ammirava la profezia e se ne sentivano gli echi nelle sue parole quando definiva «uno scandalo» le case sfitte e l’apologia della pena di morte o quando indicava come «un atto quasi sacro » quello di pagare le tasse. Alla politica chiedeva di mettersi a fianco dei bisogni reali della gente; a Firenze diceva di spendersi per la difesa dei poveri, della pace, del lavoro, facendo rivivere le intuizioni di Giorgio La Pira; ai laici diceva di non “clericarizzarsi”, come oggi ripete papa Francesco.  Imporrà le mani su cinque vescovi: Edoardo Ricci (defunto pastore di San Miniato), Gualtiero Bassetti (oggi cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e già vicario generale durante l’episcopato di Piovanelli), Flavio Roberto Carraro (emerito di Verona), Rodolfo Cetoloni (oggi vescovo di Grosseto), Claudio Maniago (oggi vescovo di Castellaneta). Certo, il grande dono del porporato alla Chiesa fiorentina è stato il Sinodo, il 34° nella storia dell’arcidiocesi. Aperto il 21 maggio 1988 e chiuso l’11 ottobre 1992, coinvolse nelle tre fasi del “vedere”, “giudicare” e “agire” anche la società civile sulla scia del Vaticano II e si avvalse persino di indagini sociologiche (come quella sull’identikit del praticante), alcune mai effettuate prima in una diocesi. Un evento nel segno del dialogo, con una larga partecipazione di laici e un’ampia libertà di discussione. Dopo le dimissioni per limiti di età, il cardinale  si era ritirato nell’antica Pieve di Cercina vicino al suo Mugello ma non aveva rinunciato a essere presidente della Fies (Federazione italiana esercizi spirituali). Per i 90 anni aveva ricevuto il dottorato ad honorem in teologia biblica alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e il 21 febbraio 2014 aveva concelebrato a Casa Santa Marta la Messa con Bergoglio che lo aveva ringraziato «per la sua testimonianza e la sua bontà».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: