domenica 17 luglio 2011
I numeri di Alpha: 6.000 volontari, 600 chiese, 80.000 persone che hanno frequentato un corso Gente d’ogni genere: pensionati e studenti, immigrati e borghesi Vincent Redier, presidente della tv cattolica: «I francesi non sono contro la Chiesa; semplicemente, non ne sanno quasi niente».
COMMENTA E CONDIVIDI
«Hai una domanda da fare a Dio?» chiede il volantino, in caratteri rossi. L’invito ritorna sulla porta delle chiese, viene messo nelle mani dei pendolari che corrono verso le stazioni a Parigi, la sera, o della gente della provincia. È un invito a cena. Chi accetta si ritrova attorno a un tavolo a mangiare, in venti o in anche in cinquanta. Ragazzi, padri di famiglia, anziani, stranieri. Poco in comune, se non la voglia di parlare di Dio. Di questo nome quasi tabù, nella libera Francia: l’unico che si ha pudore, e quasi una sottile vergogna, a pronunciare. Molti dei più giovani non sono battezzati. E anche chi lo è, ha dimenticato spesso la fede cristiana. Ma, nella grande invisibile solitudine di una metropoli come Parigi, o nel silenzio delle campagne, quel nome in molti, interiormente, riaffiora: Dio. Come una domanda, un non ammesso desiderio.Florence de Leyritz oggi è una signora bionda, madre di cinque bambini. A 21 anni studiava a Parigi, e del suo battesimo aveva rinnegato tutto. Una notte passeggiava con degli amici per la città addormentata, quando passò davanti alla chiesa di Saint Gervais et Protais. Senza sapere perché, ebbe voglia di entrare; e, strano, spingendo la porta la trovò aperta. Nelle navate semibuie fissò lo sguardo su un crocefisso. «Improvvisamente – racconta oggi, in un caffè degli Champs élysées – mi sono accorta che fino ad allora non avevo capito niente, e che Cristo non era una legge morale, ma una persona viva».Quella notte, la porta a Saint Gervais et Protais era aperta per l’adorazione eucaristica dei monaci della Comunità di Gerusalemme. Florence con loro si converte, si sposa con Marc de Leyritz, cattolico, di professione dirigente di banca. Vanno a vivere a Londra e una sera li invitano a un incontro a Holy Trinity Brompton, chiesa anglicana. La chiesa è gremita di gente. Il pastore coinvolge gli ascoltatori parlando di un Cristo che è vivo, e che c’entra con tutto, nella vita quotidiana. Sembra che abbia trovato una nuova lingua per dire ancora verità antiche. Quel linguaggio conquista i due sposi francesi, che portano Alpha in Francia.Sono passati 12 anni. Il percorso Alpha, rivisto e approvato dalla Chiesa cattolica francese, viene oggi proposto a cattolici, protestanti, atei. È semplicemente un primo annuncio: dice chi è Gesù Cristo, perché è morto in croce e risorto. Molti francesi sono ritornati a credere così, grazie a un linguaggio semplice, e alle facce dei volontari di Alpha. Che conducono gli incontri, o, in cucina, fanno da mangiare; mentre altri di loro, a casa magari, non visti, pregano per ciascun invitato. Perché gli uomini fanno quello che possono, ma quelli di Alpha confidano molto nello Spirito Santo. Ci credono con una fede da tempi degli apostoli. Sono certi che lo Spirito soffi, e operi, oltre ogni parola. Di modo che il loro approccio, così moderno e laico nella forma, si affida a un compagno antico.Li incontri una mattina, i dirigenti di Alpha France, nella nuovissima sede alla periferia est di Parigi, fra pareti fresche di vernice e cavi elettrici ancora scollegati. Che singolare compagnia. Quei due, per esempio: uno è un generale dell’esercito francese in pensione e l’altro un giovane figlio di immigrati dalle isole Mauritius. Strana coppia, cosa fanno qui assieme? Il generale, Nicolas de Chezelles, è il responsabile di Alpha Prisons, il percorso per i detenuti. Il ragazzo dalla pelle scura è Charly Mootien, 28 anni. Convertito a 18 anni, racconta: «Scoprire Cristo è la cosa più bella che mi sia accaduta nella vita». È il responsabile della formazione dei volontari che si occupano di adolescenti. «I ragazzi francesi oggi non sono "contro" la fede – dice – sono semplicemente una generazione che di Cristo non sa più nulla. La cosa difficile è suscitare in un adolescente di oggi, centrato sull’immagine esteriore di sé e sul consumismo, la bellezza di farsi a immagine di un altro, di Cristo. Ma se ci riesci, questi ragazzi si entusiasmano».Mille ragazzi francesi seguono quest’anno Alpha, in scuole cattoliche o in istituti per minorenni difficili. Piccoli numeri, quasi inavvertibili nella massa della popolazione di un grande paese. Ma il seme è gettato. A Saint Denis, periferia gremita di immigrati, il parroco è un giovane polacco. Ci presenta una signora nepalese, avvicinata con Alpha, battezzata a Pasqua. Poi al telefono c’è un amico italiano, Daniele, siciliano a Parigi. Anche lui, credente distratto, ha incontrato Alpha. «Ho riscoperto le fondamenta che avevo dimenticato», dice. Ora attende di entrare in seminario. A Saint Denis italiani, nepalesi, polacchi, e in strada una babele di tutti i colori. Diresti: qui è finito tutto. Invece, piano, ricomincia qualcosa.A Saint Augustin, aristocratica chiesa nel cuore di Parigi, il parroco don Branchu è arrivato da due anni. «I miei parrocchiani sono 15 mila, e la domenica ne vedevo in chiesa uno su dieci. Non posso restare qui a aspettarli senza fare niente, mi sono detto. Il primo effetto di Alpha l’ho visto proprio sui parrocchiani: quei trenta che si sono dati da fare per accogliere, dar da mangiare, pregare, sono stati trasformati. Sono diventati una comunità, come non lo erano prima. A settembre faremo il terzo corso, questa volta per le coppie: mi affligge il numero dei divorzi, bisogna aiutare le famiglie». Ma quando uno finisce Alpha, cosa fa?, domandiamo. «Occorre – spiega don Branchu – che venga accompagnato, non lasciato solo. Deve approfondire la fede cattolica, deve conoscere i sacramenti; noi a Saint Augustin proponiamo una catechesi sul Vangelo di Marco, oppure attività di carità, che è un modo eternamente valido per crescere nella fede».Già, carità, questa antica parola che per Paolo veniva prima di ogni altra. La carità di accogliere l’altro così com’è, senza giudicarlo. Al Marais, nella grande chiesa di Saint Paul, il vicario è don Xavier Lefebvre, docente di filosofia al seminario di Parigi. Anche qui, da anni, fanno Alpha. «Ciò che accoglie le persone è il sentirsi abbracciati, non giudicati. A funzionare in Alpha, ancora prima del linguaggio, è la carità. E lo Spirito: quel pregare di cui gli ospiti nemmeno sanno, anche perché spesso non capirebbero cos’ è».A chi finisce il ciclo di incontri, viene proposto presto di farsi a sua volta animatore di Alpha: il passaggio del testimone è veloce. Alpha "confluisce" nelle parrocchie. «È uno strumento per le parrocchie – dice Florence De Leyritz – noi siamo convinti che hanno un grandissimo potenziale. Questa ri-alfabetizzazione è come una linfa che percorre il cuore antico delle parrocchie, e lo ringiovanisce».Ma qui in Francia la Chiesa non sembrava vecchia, avviata a un irrimediabile declino? Cosa è successo, allora? «Per me – dice il generale De Chezelles – tutto è cominciato a Parigi nel 1997, alla Gmg in cui Giovanni Paolo II disse messa davanti a un milione di giovani. Doveva sentire che silenzio, su quella folla immensa. Quei ragazzi sono i trentenni di adesso, sono il germe di una Chiesa nuova».Una Chiesa nuova che con una lingua nuova pratica un’antica carità. Come alla prima cena di Alpha alla parrocchia di Saint Honorè, nella Parigi più elegante, dove si presentarono quattro giovani travestiti. «Sapete, noi battiamo il marciapiede», spiegarono. E la gente di Saint’Honorè non fece una piega, offrì da bere e mangiare, restò a ascoltare, accolse. Tradizionalisti, borghesi, ma quella sera a Saint Honorè si riscoprirono, come ai primi tempi, semplicemente cristiani.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: