martedì 16 luglio 2013
«Il Papa attrae più persone del “futebol”». Aspira l’aria fra i denti mentre pronuncia la “t”, il ragazzo del chiosco. Alla sua sinistra, la gabbia in ferro spicca tra le palme da cocco di Copacabana. Sulla sabbia brulicano operai con casco e tuta, un abbigliamento poco intonato per quest’ennesima giornata estiva di un improbabile inverno carioca.
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«Il Papa attrae più persone del “futebol”». Aspira l’aria fra i denti mentre pronuncia la “t”, il ragazzo del chiosco. Alla sua sinistra, la gabbia in ferro spicca tra le palme da cocco di Copacabana. Sulla sabbia brulicano operai con casco e tuta, un abbigliamento poco intonato per quest’ennesima giornata estiva di un improbabile inverno carioca. Il palco che ospiterà la Messa di apertura della Gmg è quasi pronto, garantiscono i manovali. All’evento mancano ancora otto giorni. La Gmg – o come dicono da queste parti “Jmj” –, invece, è già cominciata. Basta fare una passeggiata sul lungomare di Ipanema, Leblón, Leme, per non parlare della battutissima Copacabana, per rendersene conto. I ragazzi con maglietta e zaino “Jmj” sono ovunque: nelle terrazze panoramiche, nei vicoli ciottolosi del centro storico, nei bus spericolati (che qui chiamano onibus e non fermano mai alle pensiline ufficiali). «Il Papa attira più gente del “futebol”», ripete un signore in infradito mentre osserva un gruppetto di giovani cileni. La frase è ormai il leitmotiv nazionale. Si sente in continuazione nella Rio reduce dalla Confederations Cup. Che ha portato nella Cidade Maravilhosa frotte di appassionati. «Sì, ma ora è un’altra cosa. I Jmj sono ovunque», dice un giovane all’edicola. È vero. Detta da un maschio brasiliano – per cui il “futebol” è quasi un’ideologia –, però, la frase lascia di stucco. «È che sono proprio tanti», prosegue a mo’ di scusa il ragazzo. Gli iscritti ufficiali nella lista del Comitato organizzatore sono per il momento 330mila, di cui il 60 per cento nazionali e il resto internazionali. Molti di più, però, verranno senza registrarsi: la settimana prossima si attendono almeno 2,5 milioni di persone. Un bagno di folla. «Ma per noi la Giornata è iniziata due anni fa», dice dom Paulo Cesar Costa, vescovo ausiliare di Rio de Janeiro e vicepresidente del Comitato organizzatore. L’edificio Joan Paulo II, in rua Benjamin Costant, dove si trova il Comitato è un via vai di volontari e pellegrini appena arrivati. Dom Cesar Costa procede a passi rapidi nei corridoi decorati con la frase: «Il cuore del mondo batte qui» e foto del papa Francesco. Il vescovo stringe mani e saluta prima di approdare in una saletta appartata dove poter parlare. «È stato un lungo viaggio, quello verso la Gmg – afferma –. Che ha prodotto frutti straordinari. Ogni parrocchia ha lavorato per coinvolgere i propri giovani nella preparazione dell’evento, con celebrazioni, seminari, incontri. Il fervore ha contagiato tanti ragazzi che prima non andavano nemmeno a Messa… Ci sono molti casi di adolescenti che si sono avvicinati alla fede proprio in occasione di questa Giornata». Una gioia per la Chiesa brasiliana ma anche una grande responsabilità. «La sfida è ora quella di non disperdere questo patrimonio. Come Chiesa dobbiamo saper accogliere i tanti giovani di cui la Gmg ha risvegliato la fede. Facendo loro spazio e coinvolgendoli nel quotidiano lavoro delle parrocchie e delle varie comunità». Pensa già al post-Giornata, dom Cesar Costa. Del resto, perfino la stampa più laica del Brasile parla di un risveglio della religiosità, vissuta con nuova enfasi soprattutto in ambito sociale. Come si vede dal moltiplicarsi di giovani coinvolti nelle associazioni caritative cattoliche e nelle comunità ecclesiali di base, che sono ormai 107mila (quasi il doppio rispetto a 15 anni fa). «I giovani hanno slancio, generosità, allegria. Per questo un messaggio sociale forte da parte della Chiesa li stimola. Lo dimostra il grande entusiasmo suscitato da papa Francesco. Ci sono molte iniziative in questo senso: dobbiamo rafforzarle in modo che i ragazzi non siano solo spettatori, ma protagonisti dell’evangelizzazione, come diceva Giovanni Paolo II».
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