martedì 17 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Quando Chiara e Giovanni Balestreri, giovani sposi milanesi e genitori di tre bambine, parlano della loro esperienza missionaria come fidei donumnella diocesi di Huacho (Perù), sembrano essere i testimoni viventi di quanto papa Francesco scrive nel suo Messaggio per la prossima Giornata missionaria mondiale a proposito delle famiglie. Dei cinque anni di missione a Sayan, una cittadina nella regione di Lima, racconta Giovanni: «Non siamo arrivati in Perù con un progetto strutturato da realizzare: la nostra missione è stata quella di essere parrocchiani tra i parrocchiani, famiglia tra le famiglie. Sapere che in paese c’era una casa sempre aperta, disposta ad ascoltare e accogliere chiunque, 24 ore su 24, era un riferimento per le famiglie della zona, soprattutto se con problemi di machismo o violenze fisiche e psicologiche». Effettivamente il ménage quotidiano e le esigenze di vita di genitori e figli, in qualunque parte di mondo ci si trovi, impone la frequentazione degli stessi ambienti e aiuta nell’incontro e nel dialogo: «Essere famiglia, andare all’ambulatorio medico del quartiere, al mercato, a scuola ha contribuito a farci accettare da tutti» continua Giovanni, precisando che i bambini sono la porta della casa verso il mondo, chiavi che ne aprono i segreti. Non si può negare che andare in missione con i figli sia una sfida. Spiega Chiara Balestreri: «Benedetta, la nostra primogenita, quando siamo partiti aveva quattro mesi: la chiamavano la 'volontaria involontaria'. Come sempre accade con i bambini, sono i genitori a decidere per loro. Ma noi ci siamo detti: 'Cos’è il meglio per i nostri figli?' e ci siamo risposti: 'I valori dell’accoglienza, della condivisione, della compassione, che non è pietà'. E così è stato perché la nostra casa era sempre aperta: quello che c’era per pranzo, cena, merenda lo si condivideva con tutti, e il 'mio' gioco diventava il 'nostro'. Altri genitori, magari, avrebbero risposto che il meglio era la scuola più formativa o l’igiene più garantito. Però siamo contenti di aver fatto questa scelta». Anche Elisabetta e Eugenio Di Giovine con la loro testimonianza fanno eco al Messaggio di papa Francesco quando parla di famiglie missionarie in grado di comprendere più adeguatamente i problemi della gente. I Di Giovine, appartenenti all’Ordine francescano secolare, sono partiti per il Venezuela con una figlia piccola e una seconda in arrivo, ed hanno vissuto per tre anni in missione come fidei donum dell’arcidiocesi di Milano: «Ci siamo percepiti 'soggetti fragili' quando ci hanno proposto di vivere in Seminario. Ma noi abbiamo scelto una casupola in un barrio di Guanare perché crediamo che la prima forma di testimonianza evangelica sia la comunione dei fratelli», racconta Eugenio. Concetto molto ben esplicitato nel loro libro Missione formato famiglia (Edizioni Emi) scritto dai Di Giovine una volta rientrati in Italia. Anche Francesca e Damiano Conati, altra famiglia missionaria, regalano passione, freschezza, semplicità, gioia quando parlano dei loro tre anni in Brasile come fidei donum della diocesi di Verona: «Abbiamo vissuto con quattro sacerdoti veronesi e due ragazze laiche, più nostro figlio Isacco: eravamo una 'famiglia' dove si viveva la corresponsabilità di tutti i carismi », racconta Francesca. «Abbiamo imparato la positività contagiosa del popolo brasiliano, ma anche a leggere la Bibbia ogni giorno, Parola viva che parla alla nostra vita», le fa eco Damiano. È una fede gioiosa, testimoniata e condivisa il comun denominatore dei 248 laici italiani fidei donum (e, tra questi, non poche famiglie) che decidono di partire in missione per alcuni anni. Ma c’è da credere che nessuno si senta una persona speciale: «Dio – sintetizza magistralmente Eugenio Di Giovine – non sceglie chi è capace, ma rende capace chi sceglie». © RIPRODUZIONE RISERVATA Elisabetta Di Giovine in visita ai vicini
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: