
L'arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l'Italia, apre l’Anno Santo nella chiesa giubilare del contingente italiano Unifil nel sud del Libano - Ministero della Difesa-Ordinariato militare
Secondo appuntamento nel calendario dei “grandi eventi” dell’Anno Santo. È il Giubileo delle forze armate, di polizia e sicurezza che si tiene sabato 8 e domenica 9 febbraio a Roma e che raduna chi serve il proprio Paese, la comunità internazionale e la causa della pace vestendo la divisa. Il sabato mattina sarà dedicato al pellegrinaggio alla Porta Santa nella Basilica Vaticana. Nel pomeriggio, alle 15, in piazza del Popolo, si terrà un momento di benvenuto offerto dalle forze armate e di polizia italiane con l’esibizione di alcune bande musicali. Domenica mattina, alle 10.30, la Messa con il Papa in piazza san Pietro, con alcuni corpi militari impegnati nel servizio liturgico (diretta su Tv2000). Tra i Paesi più rappresentanti ci sono Spagna, Stati Uniti, Slovacchia, Slovenia, Ucraina, Francia, Brasile, Croazia, Colombia, Paraguay, Indonesia, Argentina, Svizzera, Austria, Lituania, Belgio, Paesi Bassi, Ecuador, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda. E non mancheranno le Guardie svizzere, la Gendarmeria e il corpo dei Vigili del fuoco vaticani che saranno presenti con le rispettive delegazioni.
C’è una chiesa giubilare al confine fra Libano e Israele. Si trova nella base di Shama, nel sud del Libano, che accoglie i “caschi blu” italiani impegnati nella missione Unifil, la forza di pace delle Nazioni Unite schierata lungo la frontiera con lo Stato ebraico. L’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, ha voluto che fosse una delle nove chiese giubilari nei teatri operativi all’estero dei contingenti della Penisola. E qui ha aperto l’Anno Santo a fine gennaio. «Ho scelto, tra le missioni internazionali in cui è coinvolto il nostro Paese e sono presenti i nostri cappellani, alcuni luoghi giubilari affinché i militari possano vivere questo importante momento della vita ecclesiale e per ringraziarli del loro essere “segni di speranza” in quanto “operatori di pace”», racconta Marcianò.

L'arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l'Italia, apre l’Anno Santo nella chiesa giubilare del contingente italiano Unifil nel sud del Libano - Ministero della Difesa
Eccellenza, come leggere il Giubileo delle forze armate?
«Come altri, è un “cammino di speranza”, un pellegrinaggio che parte da lontano, in senso geografico ed esistenziale: per la provenienza dei militari da ogni parte del mondo e da diversi contesti di missione, ma anche per la decisione personale che li porta a muoversi, alla ricerca del volto di Cristo. Varcare la Porta Santa significa incontrare Lui e farlo, direi, con un atteggiamento penitenziale, ovvero disponibilità alla conversione; comunionale, cioè celebrandolo assieme; gioioso, perché il Giubileo è gioia e uno degli aspetti di tale gioia è, come dice il Papa, la speranza di un nuovo inizio che Dio rende possibile per tutti».
Lei ha “portato” il Giubileo fra i soldati italiani in Libano, segnato dal conflitto fra Israele ed Hezbollah dove ora si vive una tregua fragile.
«In questi mesi ho seguito da vicino la loro situazione e condiviso la paura e la sofferenza. I nostri soldati, nonostante le difficoltà, hanno continuato a essere un importante punto di riferimento con una seria e paziente opera di mediazione. Non sempre c’è reale percezione di come, nelle missioni internazionali, i nostri militari operino per la pace svolgendo alti compiti di responsabilità, evitando che i popoli immersi nella povertà e nella guerra sperimentino l’abbandono della comunità internazionale. Così la celebrazione è stata anche occasione per dire un sentito grazie ai militari che hanno operato per la pace in questo tempo di guerra e per ringraziare Dio che li ha protetti da rischi maggiori, invocando assieme a loro il dono della pace».
C’è chi vede una contraddizione fra il Vangelo della pace e la professione militare.
«Credo sia nota la correlazione tra la “professione” dei militari e la “pace” sottolineata dal Concilio. “Coloro che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch’essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch’essi veramente alla stabilità della pace”, si legge nella Gaudium et Spes. Certo, il servizio alla pace, come per tutti, parte dal cuore e richiede una continua formazione, nella quale trova spazio anche l’amore della patria, il cui valore lo stesso papa Francesco ha richiamato in un recente dialogo con i giovani ucraini. Il percorso di fede di un militare, come quello degli altri cristiani, richiede una maturazione sempre più profonda nella sapienza evangelica, perché tutto il Vangelo è Vangelo della pace. E qui è il cuore della bellissima missione della Chiesa dell’Ordinariato militare, chiamata ad annunciare Cristo e il suo Vangelo di amore e pace tra i militari, sostenendone la crescita umana e spirituale».

L'arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l'Italia, apre l’Anno Santo nella chiesa giubilare del contingente italiano Unifil nel sud del Libano - Ministero della Difesa-Ordinariato militare
Non c’è pace senza giustizia, ripete la Chiesa. La giustizia passa anche dalle forze armate?
«La pace ha “nomi nuovi”, oggi si sente dire. E uno di questi è proprio “giustizia”. Nella realtà italiana l’impegno dei militari per la giustizia è variegato e significativo. La difesa della legalità e della sicurezza, operata in contesti ad alto tasso di criminalità organizzata o microcriminalità; il servizio competente alla giustizia retributiva e finanziaria; la drammatica emergenza dei soccorsi di profughi e migranti in mare e della loro accoglienza; l’intervento in indagini sofisticate; la salvaguardia di luoghi naturali, come boschi e montagne... Solo pochi esempi, che danno ragione della missione straordinaria delle nostre forze armate e di polizia. E mi piace pensare che il loro servizio alla giustizia, non disgiunta dalla carità, abbia oggi anche un essenziale valore educativo: da una parte perché la formazione di ogni militare include la giustizia; d’altra parte, perché ha un valore educativo la loro testimonianza nei confronti di quei giovani che spesso purtroppo hanno scarsa educazione civica e, a causa del dilagante individualismo, faticano a percepire il senso della giustizia e della legalità».
Si rischia di ridurre le forze armate ai campi di battaglia. Ma sono impegnate anche nella protezione dei più indifesi o nelle calamità.
«Il dovere di proteggere, soprattutto i più deboli e indifesi, attraversa con chiarezza il magistero della Chiesa. E questo è vero nell’impegno per la pace che anima tanto i militari inviati in luoghi di conflitto quanto quelli chiamati a far fronte a calamità naturali o allarmi sociali, in Italia e all’estero. Penso ai terremoti, alle alluvioni, alle diverse emergenze che il nostro Paese ha vissuto. I nostri miliari sono sempre i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via, pure nelle fasi di ricostruzione. Come dimenticare il lavoro dei militari nella pandemia costato la vita a tanti di loro?».
I militari vivono le brutalità. E mettono a rischio la propria vita per gli altri. La fede è un aiuto?
«Commuove leggere le storie di fede di alcuni militari, a partire dalle vicende belliche del ‘900. La fede ha davvero illuminato il buio delle trincee, ha permesso scelte di eroismo e santità, ha tessuto storie di carità, raggiungendo una luce di umanità paradossale nella disumanità della guerra; umanità, non bisogna dimenticarlo, custodita e coltivata da tanti cappellani militari. Da vescovo, oggi mi edificano tante esperienze di fede dei militari, tradotte in scelte coerenti e coraggiose: uomini e donne dediti al lavoro e alla famiglia; ufficiali che vivono il comando come servizio di paternità e non come potere; la solidarietà che eleva lo spirito di corpo dei militari e si prende cura dell’altro, con una delicata attenzione alle famiglie di chi perde la vita nello svolgimento del dovere. Infine proprio la disponibilità a dare la vita fino alla fine, per proteggere l’altro, per suo amore».