sabato 21 giugno 2014
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S’intitola semplicemente Con Francesco la lunga intervista rilasciata dal segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino a Il Regno, storico periodico dell’Edb (le Edizioni Dehoniane di Bologna). Rispondendo alle quindici domande del direttore Gianfranco Brunelli – per un testo pubblicato nel fascicolo di giugno de Il Regno Attualità – Galantino propone un’ampia riflessione sulla Chiesa e i cattolici italiani, della quale qui anticipiamo ampi stralci.  Sono le suggestioni delle parole rivolte da papa Francesco ai vescovi italiani riuniti in assemblea, col dono del discorso pronunciato da Paolo VI in quella stessa sede 50 anni prima, ad aprire l’intervista: «Mi ha colpito sin dall’inizio – dice monsignor Galantino – l’ideale richiamo di papa Francesco a Montini. Si capisce che è il Papa della sua maturità e della sua visione conciliare della Chiesa. Per questa ragione la valorizzazione del discorso di Paolo VI, che richiama 'la nota dominante' dell’unità, mi è parso un dono e una provocazione». La Conferenza episcopale italiana «fu ostinatamente desiderata e poi ispirata dal Papa bresciano», la cui 'intuizione' di «offrire ai vescovi del nostro Paese un punto di riferimento condiviso, che insieme animasse  le comunità cristiane, si conferma ancora più necessaria 50 anni dopo; così come la sua persuasione che il Concilio dovesse essere metabolizzato attraverso figure di vescovi credibili, autorevoli e disposti a osare in nome del Vangelo». FRANCESCO ROSMINIANO La 'lunga lista delle 'tentazioni' che i vescovi devono vincere' proposta da papa Bergoglio quel giorno ricorda a Brunelli le rosminiane 'cinque piaghe della Chiesa': «Rosmini è una mia passione », confida Galantino, che così rinomina quel 'catalogo' di 'piaghe', alla cui «origine c’è lo smarrimento dell’unità: Rinnovamento liturgico; formazione del clero e dei laici (fine del clericalismo); comunione tra i vescovi e sinodalità; nomina dei vescovi; povertà della Chiesa». UNA CHIESA PIÙ LIBERA E MENO CLERICALE Il Papa «richiama all’unità e al rinnovamento» proclamando «con forza che la Chiesa nel suo insieme e nelle sue singole espressioni non ha bisogno di protezioni, di garanzie, di sicurezze, di mondanità, di posizioni di potere: ha bisogno di libertà. La libertà è l’aria di cui la Chiesa vive nella propria fedeltà e testimonianza alVangelo: una Chiesa più povera di beni terreni e più ricca di virtù evangeliche. Credo che papa Francesco abbia indirizzato tutti i vescovi a una maggiore libertà, che si traduce concretamente in una più forte corresponsabilità che è l’obiettivo ultimo che egli intende perseguire. Abbiamo tutti bisogno di tenere a mente che 'unità' non è 'uniformità'».  Il Papa, aggiunge il segretario Cei, «ci mette in guardia dai rischi di una Chiesa ripiegata sul proprio interno; autoreferenziale, che ossessionata da se stessa rischia di perdere di vista la propria finalità e la propria identità». Particolarmente insidiosa la tentazione del clericalismo: «Prima che un cattivo comportamento (una libido dominandi), il clericalismo è un errore teorico, propriamente da ricondurre alla teoria delle 'due città' con la quale si definisce che i cristiani (preti e laici) abbiano una loro città da imporre agli altri uomini, mentre in realtà essi vivono nella città comune. Il clericalismo è spesso espressione della volontà di potere, mentre la Chiesa 'popolo di Dio', come l’ha definita la Lumen gentium, si caratterizza per la responsabilità nell’esercizio della carità e porta, conseguentemente, con sé la negazione della volontà di potere, che si esprime attraverso le varie forme di clericalismo». LA CHIESA RITROVI LA SUA FORMA VITAE Centrale secondo Galantino è la questione dello «stile», tutt’altro che «ornamentale». A lungo, spiega, «si è pensato (e qualche nostalgico lo pensa ancora!) che la fede fosse un contenuto da trasmettere o qualcosa da dire in maniera perfetta e con parole definite. Oggi si è compreso che ci deve essere una concordanza da onorare tra contenuto e forma - cioè tra quello che si dice e come lo si vive - perché diversamente la credibilità viene compromessa ». A papa Francesco preme «anzitutto ritrovare la forma, cioè il modo di essere e di presentarsi di una Chiesa che sia quel che è: non centrata su se stessa e i suoi problemi, ma orientata al bene e al servizio della comunità umana. In una parola, una Chiesa missionaria, secondo il Vangelo». Un esempio di 'efficacia' in questo senso lo offre la Evangelii gaudium, nella quale sono illustrati «quattro principi che realizzano il bene comune». Così li enumera il vescovo Galantino: a) «Se 'il tempo è superiore allo spazio' deve cambiare il nostro modo di essere presenti nello spazio pubblico, smettendo i panni, spesso comodi, delle 'truppe cammellate' o quelli delle truppe da retroguardia; b) se 'l’unità prevale sul conflitto' non può che cambiare la nostra percezione della dialettica intraecclesiale, chiamata a prendere definitivo congedo da stili vagamente, anche se involontariamente, settari, così come dal narcisismo delle singole posizioni: la Chiesa non è una comunità ideale da realizzare secondo le nostre 'fantasie'; c) se 'la realtà è più importante dell’idea' le battaglie ideologiche devono cedere il posto a una condivisione dal basso, che crei l’atmosfera giusta per dialogare senza complessi d’inferiorità; d) infine, se 'il tutto è superiore alla parte' bisogna riscoprire la comune percezione di una missione che unisce al di là delle legittime differenze di opinione. A questo proposito, che tristezza dover registrare vere e proprie aggressioni verbali solo perché si usa un linguaggio e uno stile diversi da quelli ritenuti 'ortodossi'...».TRASFORMARE FIRENZE IN UN NUOVO INIZIO  Cruciale si conferma l’appuntamento del Convegno ecclesiale decennale di Firenze 2015, che «non potrà essere semplicemente un susseguirsi di dotte conferenze, annaffiate da puntigliose analisi socio-religiose », né «un convegno di filosofia»: infatti «i credenti hanno un apporto originale e creativo da offrire, ma non possono ridursi a fare la parte né dei teorici del cambiamento né degli intendenti della retroguardia. In questo senso, la scelta antropologica va approfondita anche nelle sue dimensioni e derivazioni concrete». La «sfida di Firenze», sottolinea con forza Galantino, «non può andare perduta»: da ora occorre «metterci subito alla ricerca - e ce ne sono davvero tante! - delle forme di umanesimo compiuto; chiediamoci anche cosa manca e cosa possiamo e dobbiamo dare perché le altrettanto frequenti realtà disumane possano vivere in Cristo una loro storia riuscita». Anche il «discernimento comunitario» di cui si parla non può diventare «un altro comodo slogan»: «Non lo sarà se insieme sapremo trovare forme concrete e sostenibili di confronto e di partecipazione all’interno del mondo ecclesiale e fuori da esso». Se così sarà, il Convegno nazionale di Firenze «potrebbe veramente rappresentare l’inizio di un nuovo modello di 'discernimento comunitario'. Cosa impedisce che nella fase successiva, quella di recezione più ampia del Convegno, non si provveda ad attivare regione per regione una esperienza sinodale a partire dai contenuti fiorentini? E cosa impedisce che questa esperienza prenda domani la forma di un’assemblea o di un sinodo nazionale?». IL DONO DELL’AUTONOMIA Quanto alla riforma dello statuto Cei, in particolare sull’elezione del presidente, monsignor Galantino ricorda che il Papa «non ha optato per nessuna soluzione pratica, ma ha voluto che fosse garantito lo spazio di un confronto esplicito e del tutto libero. Cosa che è puntualmente accaduta». Certo «sono emerse posizioni differenti e perfino antitetiche, ma alla fine, si è giunti a una soluzione di mediazione che tiene insieme i valori della singolarità italiana». Questa 'nuova stagione' chiede ai vescovi italiani «di assumersi in prima persona l’onere di parola e di proposta, senza delegare a nessuno la propria necessaria compartecipazione. Si va verso una Conferenza più attiva e coinvolta che realizza lo scopo di questa istituzione », cioè «coordinare gli sforzi dei singoli vescovi all’interno di un disegno unitario marcatamente missionario». I CATTOLICI E LA VITA PUBBLICA: UNA RESPONSABILITÀ NUOVA Invitato a entrare sul terreno politico, Galantino fa notare che, nella forma in cui ha preso corpo, il bipolarismo «ha finito per produrre l’effetto di due posizioni politiche in cerca del voto cattolico, ciascuna facendosi più o meno utilmente garante di un pacchetto di valori, ma senza integrare dentro la propria prospettiva l’apporto del personalismo cristiano. È mancato un vero confronto tra i cattolici stessi e tra essi e le altre culture sulle nuove questioni della democrazia: dalle nuove scienze e le loro conseguenze pratiche, alle nuove emergenze sociali. Di fatto il rischio è stato quello di vedere gli stessi cattolici semplicemente dividersi nel momento elettorale, in nome della parte politica scelta, senza mai trovare momenti di convergenza sulle premesse della comune ispirazione ideale». La «responsabilità dei laici cattolici», che «non consente alcuna delega di rappresentanza in bianco», «va incoraggiata, rinnovata e nuovamente educata»: a essa «deve corrispondere una salutare precauzionale presa di distanza diretta dell’istituzione ecclesiastica dal potere politico. Che non vuol dire 'distanza' dalla politica e dalla vita pubblica», «forme nobili e alte di carità». Auspicata una nuova «capacità di partecipazione dei cattolici italiani», «con un impegno personale ispirato dalla gratuità, privo di interessi per ritorni personali», monsignor Galantino invita a «vigilare perché lo spazio che si è aperto e il desiderio di partecipazione dei cattolici non vengano coperti e catturati, soprattutto in sede locale, da nuovi faccendieri». E aggiunge: «I trasformisti e i replicanti, figli della mediocrità, non mancano nemmeno oggi. Anche qualche ecclesiastico può essere tentato di dare vita a liste e soggetti politici locali». Ma «è una cattiva strada». ORIENTAMENTI PER LA CATECHESI, SINODO SULLA FAMIGLIA A Brunelli che apre il capitolo degli Orientamenti pastorali del decennio il vescovo di Cassano all’Jonio risponde come per la Chiesa italiana «non si potesse far di meglio» che scegliere «l’educare come tema-chiave», per «continuare a coltivare l’umano, a livello delle singole persone, perché siano pronte ad affrontare questo liquido mondo postmoderno ». Quanto al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, Galantino replica alle «critiche mosse al presunto scarso coinvolgimento»: «Abbiamo rapidamente diffuso il questionario – spiega – e in tempi contingentati siamo riusciti a mobilitare la quasi totalità delle diocesi e delle realtà ecclesiali con un momento di discernimento importante. La non pubblicazione dei questionari non è reticenza, ma obbedienza a un esplicito invito della Segreteria del Sinodo alle Conferenze episcopali, la quale voleva evitare la mediazione interpretativa o il filtro di altre istituzioni». E in tema di abusi il segretario della Cei riconosce che «anche le nostre Chiese, come le altre, hanno compreso in ritardo la gravità del problema». Ma «oggi, grazie all’azione di Benedetto XVI e di Francesco, questa fase è superata» e «abbiamo una chiara visione delle cose», con una «scelta inequivocabile: intervenire con estrema determinazione. Non c’è difesa corporativa che tenga, né clericalismo che possa giustificare silenzi, sottovalutazioni, omertà. Siamo di fronte a un dramma terribile, vero scandalo per il cristiano che deve farci scegliere sempre la vittima e la sua famiglia. Se difendiamo le vittime difendiamo la Chiesa». Spiegando poi i percorsi scelti, si fa notare che «una commissione nazionale non è l’unica strada. Aver deciso che il responsabile sia il vescovo del luogo e non una commissione esterna dà più concretezza e operatività al perseguimento dei colpevoli di simili delitti». E sul «rapporto tra obbligatorietà giuridica e obbligatorietà morale», Galantino ricorda che «l’obbligatorietà morale oggi è persino più radicale ed esigente della norma, che si può anche tentare di aggirare. Lo vediamo nel rapporto politica/corruzione, dove si ragiona sull’opportunità di dimissioni per chi ne sia coinvolto, anche a fronte di un percorso penale non ancora completato». L’APOSTOLO PIETRO E I VALORI NON NEGOZIABILI In tema di 'valori non negoziabili' (sui quali Brunelli nota che 'prima l’instaurazione della formula, ora il suo venir meno lasciano un particolare vuoto') Galantino risponde che «non c’è alcun vuoto da colmare. Nella visione cattolica della morale tutto si tiene e i valori dell’etica individuale sono sempre in relazione con quelli dell’etica sociale. Chiunque capisce, ad esempio, che l’ecologia è un problema di scelte sociali, ma anche di comportamenti individuali. E i temi sanitari toccano oggi certamente questioni nuove di morale soggettiva, ma rappresentano uno dei grandi capitoli della morale sociale». Di fronte poi «allo spettacolo miserando della corruzione, mi sembra di grande rilievo culturale e morale l’intangibilità dei princìpi». Un pericolo «sempre in agguato è quando i valori diventano ideologia, perché allora, anche senza volerlo, si possono assumere atteggiamenti contraddittori ». L’icona di questo paradosso è Pietro che sguaina la spada «per dire il proprio amore al Maestro », un modo di «interpretare in maniera ideologica un valore. E sappiamo che Gesù non apprezza. Quanto è più bella l’immagine di Pietro che, pur con tutti i suoi limiti, ama Gesù e lo dimostra in molti modi». E aggiunge: «Devo confessare che mi lasciano perplesso - se mi è permesso dirlo - gli atteggiamenti di violenza, anche verbale, con i quali si difendono i valori; come mi lasciano perplesso parole ingiuriose dette con la stessa bocca con la quale si difendono i valori». Galantino si chiede anche «quale frutto portano con sé certe adunate e se le energie investite trovano adeguata giustificazione alla luce dei risultati ottenuti. È vero: alcune manifestazioni sono importanti e utili di per sé, soprattutto quando non nascondono il segreto desiderio di 'mostrare i muscoli'. Ma è sempre così? ». Piuttosto, occorre che «dalle scelte concrete emerga uno stile di vita 'alternativo' e non prevedibile, perché evangelicamente sorprendente». «L’assetto ideale e pratico della vita cristiana – conclude il segretario generale dell’episcopato italiano – non è legato alle strutture, ma alla qualità della fede. Interpreto l’invito del Papa a ricentrare la vita della Chiesa sull’uscita da sé e dai propri territori abituali di riferimento come l’invito pressante ad avere il coraggio per trovare nuove strade di incontro con la gente di oggi». Il «mandato missionario secondo Francesco esige non tanto di occupare spazi, quanto di avviare processi del cui esito ultimo solo Dio conosce fino in fondo il significato. Forse dovremmo imparare anche nell’evangelizzazione a fidarci di più di Dio e dei suoi tempi».
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