martedì 27 giugno 2023
Malgrado la scelta della solitudine per coltivare un rapporto più stretto con il Mistero spesso diventano punti di riferimento per tanta gente e non disdegnano l’uso dei social
Don Fulvio Calloni eremita a Sillico di Garfagnana

Don Fulvio Calloni eremita a Sillico di Garfagnana - Immagini tratte dalla mostra fotografica “La via dell’Esychia” che raccoglie scatti di Eliana Gagliardoni

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Nell’era della secolarizzazione che spazio c’è per un’esperienza che sia capace di rispondere alle domande sul senso religioso, sul significato della vita e della morte, sull’importanza dei legami, sul rapporto tra l’uomo e la natura? A chi possiamo guardare per trovare risposte significative? Agli eremiti, per esempio. In Italia ce ne sono trecento, poco si sa della loro vita, eppure sono per molte persone punti di riferimento significativi, uomini e donne a cui chiedere consiglio in momenti difficili, sorgenti alle quali abbeverarsi nel deserto di una vita povera di senso, ma soprattutto testimoni di una donazione totale a Dio nella ferialità. Una mostra offre la possibilità di conoscere questo universo attraverso gli scatti realizzati dalla fotografa Eliana Gagliardoni in un reportage che spazia dal Piemonte alla Calabria, in un’affascinante occasione per inoltrarsi nelle profondità dell’esistenza. Si intitola “La via dell’Esychia” - termine greco che significa quiete, silenzio, riposo - ed è visitabile fino al 30 giugno presso l’Aula magna dell’Università degli Studi di Milano. « L’esperienza degli eremiti è una sfida a una società che va di corsa, rischiando di rimanere soffocata da ritmi e dinamiche sempre più difficili da gestire – spiega Paolo Danuvola, della Cooperativa In Dialogo Cultura e Comunicazione, tra gli enti promotori dell’iniziativa –. E nello stesso tempo è una proposta per fare i conti con ciò che può nutrire l’esistenza.

Suor Concetta Giordano che vive a San Martino in Vignale

Suor Concetta Giordano che vive a San Martino in Vignale - Immagini tratte dalla mostra fotografica “La via dell’Esychia” che raccoglie scatti di Eliana Gagliardoni

Milano è lo specchio forse più significativo delle contraddizioni in cui viviamo, e l’università è il luogo dove i giovani coltivano la vocazione della conoscenza e si aprono a nuovi orizzonti di senso, vivono la fase della vita in cui maggiormente si coltivano certi interrogativi. Non è un caso che il tema più gettonato agli esami di maturità sia stato quello sull’elogio dell’attesa nell’era di WattsApp». Gianni Borsa, presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, sottolinea «il richiamo al valore del tempo in una società che lo sta “bruciando”, appiattendolo sul presente e sull’effimero, e al valore del silenzio in un’epoca popolata da parole eccessive e dall’abuso dei punti esclamativi». La mostra invita a superare un’immagine stereotipata dell’eremita, che ne ha fatti dei “solitari” spinti a questa scelta dalla “ fuga mundi”, lontani da qualsiasi rapporto con l’altro: oggi invece queste persone rappresentano un punto di riferimento per i tanti visitatori che li raggiungono negli eremi, non disdegnano l’uso dei social, talvolta svolgono attività che li immergono nella società, sempre coltivando un cuore che trova il suo principale nutrimento nel rapporto con il Mistero.

«Il tempo trascorso con i dodici eremiti protagonisti della mostra è stato un dono che ha arricchito la mia umanità – racconta la fotografa Eliana Gagliardoni –. Dopo il primo incontro avuto con don Raffaele Busnelli all’eremo della Breccia in Val Varrone (Lecco) ho capito che avrei conosciuto uomini e donne autentici, cristallini, con uno spazio interiore nel quale specchiarsi, più vasto e sorprendente degli splendidi panorami che si possono ammirare nei luoghi che hanno scelto come dimora. Monaci e monache con personalità e trascorsi differenti hanno saputo condividere e rendermi partecipe del granitico desiderio che sostiene la loro esistenza: cercare nel silenzio della solitudine il mistero della Verità».

L’esperienza eremitica è all’origine del monachesimo e risale all’epoca dei Padri del deserto. La tradizione attribuisce a Paolo di Tebe, vissuto nel terzo secolo, il titolo di primo eremita, mentre la figura più venerata rimane quella di sant’Antonio. San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, visse da eremita alcuni anni della giovinezza ritirandosi in una grotta lungo il fiume Aniene nei pressi di Subiaco e in seguito diede vita a una comunità cenobitica. Ieri come oggi, l’eremita ci propone di misurarci con il Mistero che bussa alle porte dell’uomo alla ricerca del proprio compimento.

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