martedì 30 agosto 2022
Il poeta e critico ragiona sulla «correzione» di Papa Francesco a Dante
Celestino v, incontro francescani corrente spirituale (miniatura xv' secolo)

Celestino v, incontro francescani corrente spirituale (miniatura xv' secolo) - .

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Papa Francesco, nella sua omelia alla Basilica di Santa Maria in Collemaggio, domenica scorsa, aprendo la festa della Perdonanza, ha sottolineato: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”».

Quell’“erroneamente” ha doppia valenza: sia quella evocata dal Papa (Celestino V è stato l’uomo dell’obbedienza al disegno divino e non già del rifiuto), sia quella, più radicale, che suggerisce non essere di Celestino «l’ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto» (Inf., III, 59-60). Il nome del personaggio non è citato da Dante, disdegnando egli gli ignavi «a Dio spiacenti e a’ nemici sui» (v. 63). Essi rimangono fuori persino dell’economia della dannazione poiché non esercitarono il dono del libero arbitrio, per cui l’uomo è chiamato alla vita: «Questi sciaurati, che mai non fur vivi» (v. 64). La maggior parte dei commenti antichi alla Commedia e anche dei contemporanei, sino a quello, esemplare, di Anna Maria Chiavacci Leonardi (nei “Meridiani” Mondadori) riconosce quella figura in Pietro di Morrone (1209/1215 1296), che fu eletto Papa il 5 luglio 1294, prese il nome di Celestino V; incoronato appunto alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio il 29 agosto 1294, rinunciò al papato pochissimi mesi dopo (il 13 dicembre). Egli era arrivato al papato come emblema di una stretta povertà e solitudine eremitica: nel 1244 aveva fondato, nel solco dell’eredità benedettina, una Congregazione ecclesiastica riconosciuta da papa Gregorio X “dei frati di Pietro da Morrone”, chiamati poi “celestini”.

Si diffuse subito la leggenda che a spronarlo alla rinuncia fossero le insistenze del cardinal Benedetto Caetani [i cardinali in quel momento erano solo 11], che poi fu eletto Papa con il nome di Bonifacio VIII. Imputando Dante a quest’ultimo l’origine delle proprie disgrazie politiche e dell’esilio, condannandolo nella sua Commedia all’Inferno (nel canto XIX, ove sono puniti i simoniaci, insieme a papa Niccolò III), venne facile ai commentatori riconoscere in quel “colui che per viltade” Pietro di Morrone che, con la sua rinuncia al papato, spianò la via all’elezione di Bonifacio VIII.

Osta a questa identificazione non solo il fatto che Celestino V fu proclamato santo nel 1313 da papa Clemente V; ma soprattutto il modello di quella vita ascetica e povera che Dante esalta nella tradizione benedettina - francescana, tanto da porre in luogo rilevato del Paradiso (canto XXI), san Pier Damiani, 1007-1072, che pure rinunciò alle sue prerogative di cardinale- vescovo, per ritirarsi, alla fine della sua vita, al Monastero di Fonte Avellana, nella preghiera e nel servizio ai poveri.

È dunque da prediligere l’ipotesi, messa in luce da Giovanni Pascoli (Chi sia colui che fece il gran rifiuto, in “Il Marzocco”, VII, 1902), e poi avvalorata da Natalino Sapegno, da Daniele Mattalia, da Francesco Mazzoni ed altri, che si tratti di Ponzio Pilato, il quale - secondo gli Evangeli - si sottrasse al proprio dovere di riconoscere l’innocenza di Cristo. Solo in questo caso è possibile riconoscere l’enfasi di quel “gran rifiuto”; mentre per l’opposto gode della gloria del Paradiso l’anima di Traiano che rese giustizia a una “vedovella” (XX, 44-45). Occorre dunque restituire Celestino V a quella linea fulgida del pauperismo, umile e profetico, che Dante amava: san Benedetto, san Francesco, san Pier Damiani, san Romualdo, Romeo di Villanova, ciascuno di essi “persona umile e peregrina” (Par., VI, 135).

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