sabato 7 marzo 2009
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Ieri a Cracovia intervenendo, con il rabbino Rosen, a una conferenza internazionale sull’attualità del dialogo, il cardinale ha sottolineato l’assoluta continuità tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II DI LUIGI GENINAZZI I nsieme, cattolici ed ebrei, «devo­no essere i custodi della memo­ria » dopo la tragedia della Shoah. Lo ha detto ieri mattina il cardinale Stanislaw Dziwisz aprendo a Craco­via, insieme con il rabbino David Ro­sen, la Conferenza internazionale promossa dal Centro gesuita per la cultura con il titolo «Il dialogo tra cat­tolici ed ebrei: da dove veniamo e dove dobbiamo andare». Una mes­sa a punto quanto mai utile dopo le recenti polemiche seguite alle di­chiarazioni negazioniste del vesco­vo lefebvriano Williamson. Dal canto suo, con un discorso for- te e coraggioso, l’arcivescovo di Cra­covia ha voluto subito fare chiarez­za sui rapporti con l’ebraismo. «Sia­mo come fratelli che si sono ritrova­ti dopo lungo tempo – ha detto ri­cordando le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel corso della sua storica visita alla sinagoga di Roma nel 1986 –. È la situazione in cui ci troviamo oggi. Dal momento che ci siamo ritrovati solo di recente sap­piamo troppo poco l’uno dell’altro, ci fidiamo reciprocamente troppo poco». L’ex segretario di Wojtyla ha voluto sottolineare l’assoluta conti­nuità tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ed a questo proposito ha ci­tato il discorso con cui Papa Ratzin­ger, dieci giorni fa, si è rivolto ai rap­presentanti delle organizzazioni e­braiche dichiarando che «la memo­ria della Shoah rafforza la nostra de­terminazione a sanare le ferite che per troppo tempo hanno deturpato le relazioni tra cristiani ed ebrei». Un compito che riguarda tutti i cre­denti, in modo particolare «i figli e le figlie della terra polacca» dove per secoli gli ebrei sono stati accolti e protetti, mentre in tutta Europa ve­nivano cacciati o rinchiusi in ghetti, ma anche la terra dove, sotto l’occu­pazione nazista, si è realizzato «il ma­le incommensurabile» della Shoah. Il cardinale Dziwisz ne ripercorre la storia, dai tempi felici di re Casimi­ro alla tragedia immane di Au­schwitz, richiamando l’antica tradi­zione di tolleranza per vincere i fan­tasmi dell’odio e della violenza «in questi tempi di crisi, con il mondo che ancora una volta è minacciato dal ritorno degli egoismi nazionali». Ricorda la lettera scritta dai vescovi polacchi nel 1995, una pietra milia­re nel dialogo con l’ebraismo, un messaggio dove la Chiesa polacca chiedeva perdono per gli episodi di antisemitismo commessi anche dai suoi connazionali. «Abbiamo biso­gno – spiega l’arcivescovo di Craco­via – di grande coraggio, di determi­nazione e di saggezza perché gli er­rori commessi da singoli o da grup­pi non rallentino la creazione di una nuova fraternità». L’invito ai «frateli maggiori» è quello di non cedere mai alla tentazione d’interrompere il dia­logo, «contando sulle tante persone di buona volontà che si sentono es­se stesse offese da dichiarazioni o a­zioni di alcuni compagni di fede». La strada verso la piena riconciliazione è tracciata e proprio per questo, di­ce il cardinale Dziwisz, «notiamo con vergogna che, nonostante gli inse­gnamenti molto chiari dei recenti Pontefici sui rapporti tra cattolici ed ebrei, qualcuno tra noi non riesce a vincere pregiudizi, inveterati risen­timenti e dannosi stereotipi». Non è una questione da poco, riba­disce il porporato che è stato per quarant’anni a fianco di Karol Wojty­la e gli è succeduto sulla cattedra del Wawel. È un problema che tocca di­rettamente «la nostra responsabilità per l’immagine della Chiesa agli oc­chi delle giovani generazioni: dob­biamo continuare ad opporci ad o­gni manifestazione di antisemitismo che Giovanni Paolo II non esitò a bol­lare come peccato». Su questa strada, ha concluso il car­dinale, «non possiamo fare alcun passo indietro, così come è stato in­dicato dal Concilio Vaticano II, riaf­fermato chiaramente dai Papi suc­cessivi e ribadito ancora una volta da Benedetto XVI».
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