lunedì 20 settembre 2021
L'unione femminile di Azione Cattolica ha formato decine di migliaia di donne che sono state anche protagoniste della vita civile. I rapporti con l'Italia e Armida Barelli.
L'immagine di copertina del libro di Maffezzoli

L'immagine di copertina del libro di Maffezzoli - .

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Le donne cattoliche e il Ticino. Un binomio sul quale poco si conosce e ancor meno si è scritto nel corso degli anni. Eppure hanno avuto una parte importante nella storia della Chiesa locale e anche nella società civile. A colmare la lacuna ci pensa un libro di Luigi Maffezzoli, giornalista e intellettuale lombardo (con un passato anche ad Avvenire), ora trapiantato a Lugano, dove ha lavorato per diversi anni nella televisione della Svizzera italiana. “Donne che hanno fatto l’Unione” (Armando Dadò Editore), questo il titolo del volume, ripercorre infatti i cento anni di vita dell’Unione femminile cattolica ticinese (Ufct) e ci fa scoprire un mondo tutto al femminile che ha saputo guidare e formare migliaia di donne di ogni ceto e condizione sociale, verso quiete battaglie di emancipazione e di assunzione di responsabilità nella società.

L’anniversario secolare è stato festeggiato lo scorso 29 agosto a Camperio, nel Canton Ticino alla presenza del vescovo di Lugano Valerio Lazzeri e della carmelitana Madre Cristiana Dobner, che ha tenuto una relazione. L’Ufct è il ramo femminile dell’Azione cattolica ticinese, la più antica associazione di AC ancora attiva in Europa (è nata infatti nel 1861 a Lugano). Con gli ultimi statuti (2004) non si è voluto unificarla con l’Azione Cattolica Ticinese, per promuovere la componente femminile e sottolineare la carica profetica delle donne nella Chiesa in questo scorcio di millennio.

E infatti proprio questo è il filo conduttore che Maffezzoli individua per la sua ricostruzione storica. Pubblicato proprio nel cinquantesimo anniversario del suffragio femminile in Svizzera a livello federale, il volume racconta l’impegno di donne che, all’interno del mondo cattolico ticinese, cercano un’identità propria in una struttura ecclesiastica di stampo patriarcale dove tutto deve essere conquistato. L’autore infatti ha consultato i verbali e i giornali delle diverse epoche, ha raccolto le testimonianze delle protagoniste di un’associazione finora ignorata dalla storiografia e così ci restituisce il quadro di un sodalizio nato e sviluppato all’interno della Chiesa, che ha saputo coinvolgere decine di migliaia di giovani e di donne influenzando rapporti, comportamenti, costume, educazione, impegno sociale ed ecclesiale nel corso di tutto il Novecento. Non a caso, quando nel 1971 vennero elette le prime donne in Gran Consiglio, metà di loro uscì dalle file dell’Unione femminile.

Dal punto di vista del lettore italiano due sono soprattutto gli spunti interessanti. Da un lato i rapporti strettissimi soprattutto con la diocesi di Milano, cioè sia con Armida Barelli (fondatrice della Gioventù Femminile Cattolica Italiana e ormai prossima agli altari) sia con Maria Rimoldi, che le succedette alla presidenza. Dall’altro la prospettiva che il libro apre anche in funzione di una riflessione sul presente. Oggi infatti l’indagine sullo spirito delle origini diventa presa di coscienza sul ruolo delle donne nella Chiesa, sul dialogo e la collaborazione tra uomini e donne, e anche stimolo per la comunità ecclesiale ad aprirsi anche alla ricchezza del femminile.

A conferma di ciò Il libro si conclude con un curioso gioco delle parti: per una volta è un’accademica ad intervistare un giornalista sui contenuti del libro. Daria Pezzoli Olgiati, professoressa in scienze e storia delle religioni presso la facoltà evangelica dell’università di Monaco di Baviera (Lmu) ripercorre infatti con le sue domande all’autore i temi caldi della diversità di genere nella Chiesa e nell’associazionismo femminile.

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