domenica 27 agosto 2017
«Vogliamo garantire loro un sostegno istituzionale e culturale», con l’obiettivo di «uno sforzo convergente tra i prof e la comunità ecclesiale» per «una Chiesa per la scuola»
Mariano Crociata

Mariano Crociata

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Più protagonisti. Ma anche più sostenuti dall’intera comunità cristiana nella consapevolezza dell’importanza del loro impegno. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, sintetizza così la Lettera che i vescovi italiani indirizzano ai docenti di religione

Nella Lettera ai docenti si ribadisce la validità di fondo della Nota di 25 anni fa, ma nel contempo si parla della necessità di uno «sguardo aggiornato ». In che cosa consiste?
L’Irc mantiene intatto il suo valore e la sua importanza, oggi come ieri. Varie circostanze meritavano attenzione, soprattutto l’entrata a regime dell’Intesa sui requisiti circa la formazione e i titoli accademici dei docenti di Irc. Dalla Nota del ’91 sono cambiate tante cose, soprattutto sul fronte scolastico (autonomia e riforme varie) e dell’Irc (il nuovo stato giuridico e le nuove Indicazioni didattiche). È poi mutato non poco il clima culturale. Il processo di secolarizzazione è fortemente avanzato, i temi etici sempre più complessi e il fenomeno della immigrazione incidono non poco sull’educazione scolastica. I vescovi vogliono accompagnare docenti e studenti anche in questa fase con senso di responsabilità pastorale.

Il documento sembra essere suddiviso in tre parti: il ruolo dei docenti; il compito della Chiesa e l’Irc, i docenti e la comunità ecclesiale. È corretto?
Sì, sono questi gli aspetti caratterizzanti l’Irc. Dei docenti è certamente cresciuta la professionalità. Il loro inserimento nella dinamica scolastica è originale quanto all’apporto culturale specifico, integrativo per la circolarità interdisciplinare che è in grado di attivare e creativo sul piano della proposta formativa e delle relazioni interpersonali. La comunità ecclesiale è attenta alla qualità scolastica dell’insegnamento e al radicamento ecclesiale di una proposta culturale che risulta solo arricchita dall’identità credente dei suoi operatori.

A che cosa vi riferite quando nel testo si parla della necessità di «salvaguardare la materia e i suoi docenti » nella riorganizzazione scolastica in corso? Si corre qualche rischio di marginalizzazione?
In un certo senso Irc e suoi insegnanti sono soggetti strutturalmente esposti a pressioni marginalizzanti. Non si tratta sempre di pressioni intenzionali, ma di dinamiche scolastiche, se non di pigrizie, che trovano più facilmente accomodamenti a scapito di altri. Tuttavia l’Irc presenta l’oneroso vantaggio di essere oggetto di una scelta qualificata, che chiede a dirigenti e docenti di riconoscere il contributo specifico della disci- plina al quadro degli insegnamenti e alla completezza della formazione degli alunni. E chiede ai suoi docenti un di più di competenza, di interesse e di passione che può fare la differenza nel rapporto tra discipline, docenti e studenti.

Si invitano i docenti a non lasciarsi andare allo scoramento, ma a tenere viva la passione e accrescere la qualità scolastica e professionale. Come vescovi in che modo pensate di far sentire loro la vicinanza della Chiesa?
C’è un triplice livello di sostegno e vicinanza della Chiesa agli insegnanti di religione. Il primo è il livello istituzionale. Gli organi della Cei seguono l’evoluzione della normativa e della prassi scolastica assicurando alla disciplina lo spazio previsto dalla legislazione scolastica e ai docenti il rispetto dei loro diritti. Un secondo livello è quello culturale. La Chiesa opera per motivare e tenere viva l’attenzione a questo prezioso servizio di educazione scolastica e di formazione culturale delle nuove generazioni. Non può mancare poi uno sforzo convergente tra comunità ecclesiale e docenti di Irc nell’ottica globale di «una Chiesa per la scuola».

C’è un esplicito invito ai docenti di religione di essere più protagonisti nella vita ecclesiale. In che modo concreto? E avvertite che le comunità ecclesiali sentano anch’esse la necessità di questa maggior presenza?
C’è bisogno di un impegno nuovo sia da parte delle comunità ecclesiali sia da parte dei docenti, per un protagonismo che valorizzi questa specifica professione. I docenti di religione sono una presenza qualificata che offre un apporto specifico nel campo della formazione, e una presenza educativa preziosa per tutti, innanzitutto in ambito scolastico. In quello ecclesiale – dove non sempre sono strutturalmente inseriti in maniera efficace – essi dovrebbero costituire un tramite per un’azione pastorale rivolta a docenti e studenti credenti, chiamati a vivere con fede la loro condizione professionale ed esistenziale, oltre che collaborare soprattutto in campo formativo. Ma è nell’unità della persona credente che sta la capacità di testimoniare una fede e un’appartenenza ecclesiale che danno volto a un senso cristiano della vita che non si accontenta di conoscenza e di valori, ma porta a maturazione una relazione personale con Dio che rifluisce in tutte le relazioni ecclesiali e sociali.

Quale augurio fare ai docenti di religione – ma in fondo a tutti i docenti – che tra pochi giorni riprenderanno il loro impegno per il nuovo anno scolastico?
Spero che essi trovino le condizioni organizzative e gestionali adeguate per cominciare serenamente un nuovo anno. Ma, al di là di queste condizioni esterne pur necessarie, auguro loro di iniziare il nuovo anno con la passione per la disciplina che insegnano e per la cultura che passa per le aule scolastiche. Infine il mio augurio è che essi vedano ravvivarsi l’entusiasmo e la gioia – non separabili da una grande fatica – di incontrare i volti degli studenti, e anche dei colleghi, conosciuti e nuovi, sentendo che in questo incontro è racchiusa la promessa di vita che la scuola continua a custodire per tutti coloro che la vivono.

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