sabato 16 ottobre 2010
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Sono greco-cattolici come John Sununu e Amine Maalouf, maroniti come Carlos Slim Helù, copti come Onsi Sawiris, protestanti come Edward Said, siro-ortodossi come Paul Anka, armeni come Charles Aznavour e Henri Verneuil. I discendenti dei cristiani orientali noti in Occidente non si contano più. C’è chi ha fatto carriera in politica, chi nell’arte o in letteratura e chi, ovviamente, negli affari. Tuttavia dietro la loro emigrazione non c’era la volontà di perseguire il successo, bensì di sfuggire a condizioni di vita diventate insopportabili. Le ondate migratorie che si sono susseguite da oltre un secolo ne sono la prova. La primissima, avvenuta alla fine dell’Ottocento verso le due Americhe, interessava coloro che volevano liberarsi dell’oppressione ottomana. Fu presto seguita dalla violenta cacciata di armeni e greci dalla Turchia, poi dal massacro degli iracheni assiri negli anni Trenta, quindi dall’espatrio dei palestinesi, poi ancora dall’ondata migratoria dei cristiani durante e dopo la guerra libanese e ora dalla fuga di massa degli iracheni. Le Chiese orientali sono ancora "orientali", viene da chiedersi? La quantificazione dell’emigrazione – di cui tutti ammettono la consistenza – rimane assai complessa. Di sicuro, contro i dodici milioni cristiani che ancora vivono in Medio Oriente (dall’Egitto all’Iran e dalla Turchia alla Palestina) circa sette milioni vivono ormai fuori. Alcune Chiese orientali, come quella armena e assira, contano già da decenni più fedeli nella "diaspora" che nelle loro terre d’origine. Secondo le statistiche rese note dall’Arab American Institute – diretto dal cristiano libanese James Zogby – gli arabo-americani sono al 63 per cento cristiani, vale a dire circa due milioni 300 mila, cui vanno aggiunti 400 mila armeni.La crescente emigrazione dei cristiani è attestata anche dalla moltiplicazione delle circoscrizioni ecclesiali e dei luoghi di culto di rito orientale in Occidente. La Chiesa maronita, ad esempio, conta due diocesi negli Stati Uniti con un’ottantina di parrocchie, una diocesi nel Canada con 80 mila fedeli e una in Australia con oltre 160 mila persone. Ma il "bacino storico" dei maroniti rimane l’America Latina, dove si contano tre diocesi (Brasile, Argentina e Messico) che totalizzano diverse centinaia di migliaia di fedeli.Dalla Siria l’emigrazione dei fedeli cristiani (principalmente melchiti – cattolici e ortodossi – e siriaci) ha toccato all’inizio l’Argentina dove, nel 1905, è sorta a Córdoba la prima chiesa melchita cattolica del Paese. Oggi si trovano cristiani siriani un po’ ovunque, come nel Brasile, Canada, Stati Uniti, Venezuela e Australia. Più euro-orientata appare l’emigrazione dei fedeli siriaci (di nazionalità siriana, ma anche turca), che si trovano concentrati tra la Svezia (la diocesi siro-ortodossa conta una cinquantina di sacerdoti), la Germania (oltre 70 mila fedeli) e i Paesi Bassi.Anche i fedeli cristiani palestinesi (melchiti e latini) hanno favorito inizialmente l’America. L’area di Detroit per i cristiani di Ramallah, il Cile per quelli di Betlemme. Un aneddoto afferma che «in ogni villaggio cileno si incontrano inevitabilmente tre personaggi: un prete, un poliziotto e un palestinese». L’ex presidente del Salvador, Elías Antonio Saca, è figlio di immigrati di Betlemme, come pure l’ex presidente honduregno Carlos Roberto Flores.Da qualche anno ha cominciato a vacillare anche la storica resistenza dei cristiani egiziani alla tentazione dell’esodo. Oggi si calcola che circa due milioni di copti vivano in 55 Paesi fuori dall’Egitto. Un dato indicativo di questa emigrazione è la zona di Los Angeles dove, al posto dell’unica chiesa aperta nel 1970, se ne contano oggi una trentina, come pure l’Europa dove si moltiplicano diocesi e monasteri. Ma la vera emorragia riguarda oggi la Chiesa irachena. La Chaldean Town dell’area metropolitana di Detroit è diventata una moderna Babilonia, con chiese sempre stracolme alla domenica e in cerca continuamente di nuovi spazi per rispondere alla crescita della comunità: 170 mila persone solo nel Michigan. I nuovi arrivi seguono un percorso già battuto da migliaia di loro predecessori, arrivati da Mosul, Baghdad e Telkaif. I caldei rimasti in quest’ultima località sono probabilmente il 2 per cento di quelli chi vi abitavano e se ne sono andati.
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