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Il cardinale Gualtiero Bassetti, già presidente della Cei, durante una celebrazione dei novendiali nella Basilica di San Pietro - Reuters
Il cardinale Gualtiero Bassetti racconta il suo sogno per la Chiesa. «Vorrei un Papa che abbia l’introspezione teologica di Benedetto XVI e l’apertura pastorale di papa Francesco». Un Pontefice che «sia maestro e padre per un’umanità smarrita e ferita». Arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve, ha 83 anni. E perciò non entrerà nella Cappella Sistina per il Conclave. Ma, come ogni cardinale, prende parte alle Congregazioni generali. «Papa Francesco ci consegna un Collegio cardinalizio che è davvero lo specchio della cattolicità della Chiesa e che è chiamato a fare sintesi della ricchezza della comunità ecclesiale sparsa per il mondo», afferma Bassetti. Cardinale “a sorpresa”, come si è sempre descritto, creato nel Concistoro del 2014 convocato da Francesco a meno di un anno dell’inizio del suo ministero petrino. Quindi fra le prime porpore volute da papa Bergoglio, sulle attuali 149 che si devono al Pontefice argentino. Non solo. Bassetti è stato il primo presidente della Cei votato dai vescovi italiani, secondo la riforma sollecitata da Francesco che prevede la consegna al Papa di una terna “eletta” dall’Assemblea generale. Una terna da cui nel 2017 papa Bergoglio aveva scelto proprio il nome dell’allora arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.
Eminenza, quale Chiesa lascia papa Francesco?
«Una Chiesa non di élite, ma di popolo. Nella vita ciò che più conta è conoscere il cuore di Dio; e il cuore di Dio è il Vangelo. Papa Francesco ha creduto con tutto se stesso alla forza del Vangelo. Come diceva san Gregorio Magno, è nella Parola che si ha la rivelazione del cuore di Padre. Così ritengo che la riscoperta del primato della Parola, unito all’amore per i piccoli, i poveri e gli ultimi, abbia accompagnato tutta la vita di papa Bergoglio: da religioso gesuita, da vescovo e da Sommo Pontefice. Infatti il suo documento più bello è, a mio avviso, l’Evangelii Gaudium, un approfondimento e un’attualizzazione dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Il testo testimonia la ferma volontà di Francesco di annunciare alle donne e agli uomini di oggi che una fede autenticamente vissuta non può mai creare divisioni e che l’amore che siamo invitati a trasmettere è già anticipo della Risurrezione».
Lei è stato presidente della Cei dal 2017 al 2022. Il Papa ha un rapporto speciale con il nostro Paese e la Chiesa italiana. Come descriverlo?
«Mi piace definirlo un legame affettivo ed effettivo. Il Papa è Vescovo di Roma e primate d’Italia. Anche la scelta della Conferenza episcopale italiana di affidare al Pontefice una terna votata dai vescovi per scegliere il presidente della Cei vuole sottolineare questa peculiare unione con il Papa vescovo di Roma, ma al tempo stesso intende favorire una maggiore partecipazione dei vescovi nella scelta del loro presidente, come chiesto proprio da Francesco. Gli ultimi tre Papi non sono stati italiani, ma hanno amato profondamente l’Italia e la Chiesa italiana. Accadrà sicuramente anche con il prossimo Papa, qualsiasi sia il suo Paese d’origine. Tornando a Francesco, ricordo il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015 quando aveva invitato le nostre Chiese a essere inquiete, profetiche, attente alle persone. È l’immagine conciliare della Chiesa “popolo di Dio in cammino”. Una Chiesa che si muove insieme, che ascolta, in cui la vera autorità è quella del servizio e che condivide le gioie e le fatiche della gente. Le difficoltà e le stanchezze indicano che occorre stimolare e accompagnare una necessaria “rigenerazione”. Ciò significa affinare lo sguardo per cogliere i segni di rinascita che già sono presenti».
La sinodalità è stata una delle pietre miliari del pontificato di papa Bergoglio. La Chiesa italiana è impegnata nel Cammino sinodale che lei ha avviato.
«Francesco ci ha chiesto di cominciare un processo che lui ha riassunto in tre dimensioni condensate nel tema dell’ultimo Sinodo dei vescovi: comunione, partecipazione, missione. Le nostre comunità sono tenute essere un laboratorio in cui apprendere, vivere e testimoniare l’esperienza del Vangelo. Ciò si traduce in una spinta all’azione missionaria. E la comunione ecclesiale è frutto del rapporto intimo e profondo che tutti i credenti hanno con il Signore e fra di loro. Inoltre è la centralità di Cristo nella vita personale che permette ai cristiani di essere cenacolo di fraternità: una fraternità aperta, coinvolgente, contagiosa. Tutto questo è alla base della conversione pastorale, di cui anche la Chiesa italiana ha bisogno. E serve ripartire dalle parrocchie, ossia dalle nostre porte e dai nostri ponti verso la società e verso la vita quotidiana. Rivitalizzare le parrocchie significa avere una Chiesa di prossimità».
Lei ha lanciato un “movimento” ecclesiale sul Mediterraneo che ha portato a tre incontri dei vescovi (a Bari, Firenze e Marsiglia), due dei quali con il Papa e sempre due assieme a sindaci e giovani. Che cosa aspettarsi adesso?
«È stato un mistico prestato alla politica, Giorgio La Pira, oggi venerabile, che mi ha ispirato questo percorso. Un itinerario partito dalla Cei che mostra più che mai la sua attualità con le guerre in Ucraina e in Medio Oriente e i conflitti dimenticati nel pianeta. La sfida della pace impegna le Chiese: è un mandato che ci viene da Cristo. Ritengo che il Mediterraneo, con le sue contraddizioni e potenzialità, sia una delle nuove frontiere dell’evangelizzazione. Questa iniziativa dimostra qual è la vocazione dell’Italia nello scenario internazionale. Confesso che mi piacerebbe se il nuovo Papa prendesse in considerazione l’idea di un Sinodo dei vescovi sul Mediterraneo. E da qui passa anche la sfida ecumenica che è la risposta cristiana a un mondo lacerato. Essa comporta anche gesti profetici nell’anniversario dei 1.700 anni del Concilio di Nicea: sarebbe interessante che il prossimo Pontefice visitasse proprio Nicea».