domenica 8 marzo 2009
Nella testimonianza di chi dopo di lei ha assunto la guida del Movimento, il senso di una presenza viva. «Il suo testamento? Le parole di Gesù: 'Che tutti siano uno'»
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«Chiara è sempre con noi». E davvero non suona retorico il mo­do in cui Maria Voce, chiamata a succedere alla fondatrice dei Fo­colari, ricorda Chiara Lubich, a un anno dalla morte. «Niente ha il sa­pore del lutto», dice, raccontando come in tutto il mondo, a ogni li­vello, ci si prepari a ricordare que­sto anniversario: «Si avverte un cli­ma di festa». Lei è stata tra le più strette colla­boratrici di Chiara Lubich in un lungo arco di tempo. Come la ri­corda? Non posso non ricordare l’ultimo momento, quando sono andata a salutarla, il 13 marzo a sera già a­vanzata. Le ho sussurrato: «Chiara, noi veniamo con te». Sentivo che e­ra una realtà, che non erano paro­le. E da quel momento questa co­munione tra cielo e terra continua. La sento vivissima. A lei chiedo o­gni giorno quel suo amore senza misura. Un amore attivo e fecondo che si faceva carico dei problemi, delle attese di ogni persona che in­contrava. E nasceva sempre qual­cosa di nuovo. Come quell’incontro con u­na signora divorziata che le dice: «Chiara, non fai niente per la nostra situazione?» . Ne parla con i re­sponsabili di Fami­glie Nuove e si apre un nuovo campo per i separati, per i di­vorziati. È capitato l’ultimo anno della sua vita. Ecco come ricordo Chiara: ani­mata dal testamento di Gesù: «Tutti siano uno». Con un amore che abbracciava il mondo, cominciando dai più vicini. Ha sempre vissuto così. È così che ci ha insegnato ad allargare il cuore, a sfondare le barriere, ad andare in­contro a chiunque con lo stesso a­more, senza preconcetti. Come è stato questo primo anno senza Chiara? Dopo quel che ho detto, capirà che a me, a noi, suonano quasi strane le espressioni: «senza Chiara» o «dopo Chiara». E non è un’espe­rienza solo personale, ma colletti­va. Quanto Chiara ci ha detto in tutti questi anni, ci risuona adesso con una profondità senza prece­denti e con un imperativo che ci chiama a vivere con sempre nuo­va radicalità. C’è una freschezza, una vitalità, un più maturo senso di responsabilità, Chiara continua a portare avanti la sua Opera secon­do il disegno che Dio le ha fatto scoprire passo dopo passo qui in terra e che ora, dal cielo, ci aiuta ad attuare. Ci stiamo preparan­do al primo anniversario della con­clusione del suo viaggio terreno. Da Cuba all’Iraq, dal Pakistan al Congo, dagli Stati Uniti all’India. Centinaia le iniziative nei cinque continenti per approfondire e con­tinuare a vivere la sua eredità: ini­ziative liturgiche, presiedute da ve­scovi e cardinali, o culturali, a sfon­do politico dove a prendere l’ini­ziativa sono i Parlamenti come in Brasile e qui in Italia, o personalità di primo piano in campo ecume­nico, come il patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. La morte del fondatore è sempre un passaggio cruciale, sicura­mente difficile. Chiara Lubich a­veva in qualche modo preparato questo momento, ma quali sono stati i problemi maggiori da af­frontare? Sì, Chiara aveva preparato questo momento da lungo tempo. Ne ab­biamo preso coscienza quando ab­biamo raccolto quanto negli anni aveva detto guardando al futuro, a quando lei non sarebbe stata più su questa terra. Ma sono certa che Chiara ha preparato questo pas­saggio cruciale innanzitutto pa­gando di persona. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non può portare frutto. È legge del Vangelo. Poche parole, scritte a fa­tica, ci hanno fatto intravedere qualcosa di quell’abisso di buio che ha sperimentato nell’ultimo tratto della sua vita. Lo paragonava «al sole sceso all’orizzonte e tramon­tato per sempre». Chiara era con­figurata a chi aveva amato tutta la vita: Gesù che in croce giunge a gri­dare: «Dio mio perché mi hai ab­bandonato?». Quante volte ci ave­va parlato di quel mistero d’amo­re e di dolore. Vi vedeva raffigura­te «le doglie di un parto divino di noi tutti a figli di Dio». Ci indicava nell’amore esclusivo a Gesù ab­bandonato che vedeva nei mille gridi dei traumi e spaccature e con­flitti del mondo, la chiamata ad u­na maternità capace di rigenerare e ricomporre in unità l’umanità. Si spiegano solo così la vitalità del Movimento proprio in questo mo­mento cruciale, e i frutti copiosi, ma anche l’inaspettata eco della stampa mondiale, le affermazioni che giungono da più parti, a co­minciare dalla voce di un monaco buddista davanti al suo feretro: «Chiara è anche nostra». Dalla guida "carismatica" alla gui­da "condivisa", come è cambiato il dinamismo dei focolari? «Se dovessi lasciare in testamento un’eredità – aveva detto Chiara al­la precedente assemblea generale del 2002 – lascerei a tutti: Gesù in mezzo a noi, frutto di questo cari­sma mariano». Ci ricordava che il carisma risiede nel «due o più» e ci chiedeva, prima di ogni altra cosa, di vivere l’amore scambievole con la misura del dare la vita per «ge­nerare » la Sua presenza, «perché ci guidi». E questo significa capacità di ascolto, di morire al proprio io, di spostare la propria idea, di en­trare «nell’altro». Questo dinami­smo, da sempre è il motore e il se­greto dell’espansione della rivolu­zione evangelica iniziata a Trento. È stato fissato da Chiara per sem­pre come la norma delle norme nella pagina introduttiva agli Sta­tuti. Ma ora questo dinamismo si è intensificato. Sperimentiamo nuova luce e forza per portare a­vanti il movimento in questo «se­condo periodo» che Chiara defini­va come «tempo di crescita, di ma­turità », «tempo in cui tutto si svi­lupperà in estensione, tutto si mol­tiplicherà, e andrà anche in profondità».
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