venerdì 6 gennaio 2023
Parla l'arcivescovo di Chieti-Vasto. «Per Benedetto XVI l’amicizia, il legame nella comune passione per la causa di Dio, era un valore sommo che ha coltivato fino alla fine»
L’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte

L’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte - Siciliani

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Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, ha avuto l’onore di ricevere l’ordinazione episcopale da Joseph Ratzinger, l’8 settembre 2004, a Napoli. E con lui, anche da Papa emerito, ha mantenuto un rapporto vivo, non solo di cortesia.

Eccellenza, «quaerere Deum» fu ciò che mosse i monaci che posero le fondamenta della civiltà europea, disse Benedetto XVI nel famoso discorso al Collège des Bernardins a Parigi. Non volevano elaborare una cultura, nemmeno conservare quella del passato: cercavano Dio, quello che poi nacque da loro fu una conseguenza, un frutto sovrabbondante. Non è avvenuto così anche nella vita del Pontefice che ci ha lasciato?
Per come l’ho conosciuto, abbastanza in profondità, questo grandissimo pensatore della fede è stato soprattutto un cercatore di Dio. Non perché non l’avesse incontrato, certamente il suo incontro con Gesù Cristo è stato tale da spingerlo a offrire a Lui tutta la sua vita, ma perché Dio è infinito e quanto più lo conosci, quanto più lo ami, tanto più hai bisogno di vedere il suo volto. «Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto» dice il salmista. Parole che possono sintetizzare il percorso di Joseph Ratzinger. Da giovane teologo che si è posto con passione, anche alla scuola dei suoi grandi maestri, le domande sulla conoscenza di Dio, sull’amore di Dio, a pastore, vescovo, Papa, è stato un continuo cercatore di Dio. Quindi sì, quel quaerere Deum su cui incentrò la sua riflessione al College des Bernardins compendia anche quella che è stata la sua continua interrogazione. Insieme a questo continuo cercare c’è stato anche un saper accogliere, nel segno della amicizia, della cordialità, della gentilezza. Neanche un mese fa mi è arrivato il suo volume di commenti ai Vangeli con una dedica: «A monsignor Bruno Forte, con antica amicizia». Per lui l’amicizia, il legame interpersonale in questa comune passione per la causa di Dio era un valore sommo, che ha coltivato con attenzione e lucidità fino alla fine.

Alla ricerca del volto di Dio, volle vedere anche il "volto santo" di Manoppello, nel santuario della sua diocesi.
Io l’avevo invitato e avevamo fissato la visita per il 18 aprile 2005, ma il 16 aprile fu eletto Papa. Pensavo che non sarebbe stato più possibile, eppure alla prima udienza che mi diede mi disse: «Verrò nella sua diocesi, non è stato ancora deciso quando, ma verrò». Mi colpì. Venne e si fermò a lungo a contemplare il volto santo di Manoppello, il volto di Cristo, un sudario dove, secondo padre Heinrich Pfeiffer [studioso di questa icona misteriosa, morto due anni fa ndr] l’energia della risurrezione ha impresso l’immagine di un volto segnato dal dolore, ma al tempo stesso sereno, luminoso, irradiante. E poi parlò ai presenti, ai sacerdoti e ai giovani soprattutto, con una carica di amore impressionante, per dire che il senso della vita è l’amore. Perché i discepoli hanno seguito Gesù? Perché hanno riconosciuto in lui questo amore per cui vale la pena vivere e dare tutto.

Da teologo che ricordo ha delle sue capacità intellettuali?
Aveva una straordinaria velocità intellettuale e un’immensa conoscenza che spaziava dai Padri della Chiesa, basti pensare ai suoi lavori su sant’Agostino, alla scolastica, pensiamo a san Bonaventura, alla scuola di Tubinga fino alla teologia dei nostri giorni. Attingeva a questa straordinaria ricchezza con la rapidità che lo caratterizzava, con la capacità di porre domande vere e di dare risposte altrettanto vere e comunicative, in grado cioè di raggiungere il cuore del lettore. Non era un intellettuale astratto, era un testimone, con la sua intelligenza e con la sua vita.

L’ha colto anche la gente comune, se guardiamo l’afflusso di questi giorni. Fa impressione contando che da 10 anni Ratzinger viveva nel nascondimento.
Io ho avuto la grazia di ricevere da lui, pochi giorni dopo le dimissioni, una lettera stupenda, in cui mi spiegava il perché del suo passo. Scriveva: io sono stato eletto Papa con 20 anni in più di quelli che aveva Wojtyla quando divenne Pontefice; lui ha trasportato interi continenti, fisici e spirituali, io potevo soltanto richiamare gli uomini ad ascoltare nel fondo della loro coscienza la voce di Dio; è quello che ho cercato di fare in questi otto anni; ma non potevo permettere che la Chiesa assistesse al mio progressivo ammutolimento sotto il peso di questo ministero; la via del silenzio e della preghiera sarà quella in cui continuerò a servire la Chiesa. È quello che ha fatto. La gente ha capito che quest’uomo è stato servus servorum Dei, anche nel silenzio e nella preghiera.

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