martedì 3 agosto 2021
Il cardinale scrive una lettera alla Chiesa di Perugia-Città della Pieve. L'invito a "una testimonianza più autentica e verace" in questo tempo difficile.
L'arcivescovo di Perugia-CIttà della Pieve, il cardinale Gualtiero Bassetti

L'arcivescovo di Perugia-CIttà della Pieve, il cardinale Gualtiero Bassetti - Ansa

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Serve «un atto di conversione», di cambiamento vero, perché «senza ciò anche il cammino sinodale della Chiesa italiana rimarrebbe un desiderio che potrà risolversi alla fine in un bel documento scritto, destinato agli archivi». È l’auspicio che il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana, scrive in una lettera che ha voluto indirizzare alla sua Chiesa agli inizi di agosto, ma con lo sguardo rivolto all’appuntamento del prossimo ottobre, quando prenderà avvio il cammino sinodale non solo della Chiesa italiana, ma universale.

«Saremo in grado di rispondere a questa sfida che il Santo Padre ha avuto il coraggio di proporci – si domanda il cardinale nella lettera indirizzata al clero, ai religiosi, ai diaconi, ai seminaristi e a tutto il popolo di Dio –? Sì, è possibile, perché crediamo che valga anche per noi ciò che fu detto dall’Angelo a Maria di Nazareth: "Nulla è impossibile a Dio". Il sì di Maria – aggiunge Bassetti – mi richiama alla mente l’icona della nostra Madonna della Grazia, nella Cattedrale. Essa è madre e icona della Chiesa; è simbolo della Chiesa che, orante, risponde il suo sì al sì di Dio, nei confronti dell’uomo. Ognuno di noi è chiamato a diventare, sempre di più, pur nei limiti della sua vita, pur nella gravezza delle sue colpe, un sì che risponde al sì di Dio».

Testimoniare la radicalità del Vangelo

Del resto, nel testo della lettera, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda come il credente sia «chiamato a testimoniare la radicalità del Vangelo. Non è facile oggi per noi calarci nel solco di una tradizione passata che, pur coi suoi limiti, è stata capace di coniugare, almeno nei suoi tempi migliori, profezia ed etica della responsabilità». E anche se «oggi facciamo fatica a dover constatare che siamo minoranza ed in continuo confronto con persone che pensano ed agiscono in contrasto coi principi ispirati al Vangelo», non per questo i cristiani devono diventare «un popolo di gente rassegnata», ma al contrario essere «un popolo pasquale, che sta in piedi». Insomma, per il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, «noi cristiani non possiamo essere "lucignoli fumiganti" ma piuttosto "ceri pasquali", come diceva don Tonino Bello».

E citando un’altra figura di cristiano a cui il cardinale è molto affezionato, Giorgio La Pira (che fu sindaco di Firenze e grande uomo di pace), «noi cristiani - diceva - siamo chiamati "ad elevare nel mondo la lampada di Dio". In un tempo nel quale sembrano far da padrone l’edonismo, la tecnica ed una schiacciante cultura relativistica, questa lampada è necessario che sia ben accesa e stia in alto». Insomma proprio in questo tempo, aggiunge il cardinale «il Signore oggi chiede a tutti noi una testimonianza più autentica e verace. Per questo occorre unità. Un’unità che è dono dello Spirito Santo e diventa capace di farci superare ogni tipo di ostacolo, perché fonda la sua speranza nella preghiera di Gesù: "ut unum sint!". Siano una cosa sola».

Cambiamento personale e collettivo

Una unità che, l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, auspica possa caratterizzare l’ormai prossimo cammino sinodale, che deve necessariamente portare a un cambiamento personale e collettivo, proprio per evitare che il cammino produca un altro documento che - seppur ben fatto e scritto - è destinato a finire negli archivi. Per questo, conclude il cardinale, «rivolgo a tutti voi un augurio: non rassegnatevi al quotidiano o al pensiero "che si è sempre fatto così"; siate, carissimi, un popolo che "sta in piedi, come quello dell’Apocalisse, davanti al trono di Dio"».

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