lunedì 25 maggio 2009
Il presidente della Cei apre i lavori della 59esima Assemblea della Cei toccando i principali temi d’attualità: dal terremoto in Abruzzo alla crisi nel mondo del lavoro, passando per immigrazione, legge 40, testamento biologico. Sui recenti attacchi al Papa: «Sono pretestuosi, non lo scalfiscono». Attenzione particolare all’iniziativa della colletta del 31 maggio.
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E’ «il patrimonio di conoscenze e di esperienza garantito dalle persone che lavorano» la «base realistica da cui ripartire» per uscire dalla crisi. Aprendo questo pomeriggio l’Assemblea dei vescovi italiani (il testo integrale), il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha parlato della crisi economica da cui l’Italia è “duramente provata”, e che produce «una comprensibile ansia volta a scrutare i segni di uscita dal tunnel». Nonostante le «previsioni quasi rasserenanti, che tutti naturalmente vorrebbero vedere confermate», per la Cei questo è «il momento in cui la crisi tocca in modo più diretto, quasi cruento, la realtà ordinaria delle famiglie», per le quali serve «un fisco più equo». La disoccupazione, in particolare, «sta intaccando anche le zone a più radicata tradizione industriale», ed oltre alla contrazione della «leva occupazionale» decisa dalle imprese quasi per «alleggerire la nave di futile zavorra», a patire le «maggiori ripercussioni» è la «fascia dei precari», con un «brusco aumento» della disoccupazione, «dovuto principalmente alla perdita di posti di lavoro non garantiti», alla mancanza di «ammortizzatori» sociali, al frequente ricorso alla cassa integrazione e al licenziamento. La crisi, per i vescovi «sta producendo i suoi effetti più deleteri sull’anello più debole della nostra popolazione».
USCIRE DALLA CRISI RIPARTENDO DALLE «PERSONE CHE LAVORANO» «Dalla crisi in corso – ha affermato il presidente della Cei - dobbiamo uscire non con una svalutazione del lavoro, identificato come circostanza casuale e fortuita, ma con la riscoperta del legame imprescindibile dell’uomo con il lavoro». Di qui l’impegno ad «umanizzare il mondo lavorativo», come esortava a fare ieri il Papa da Montecassino, a partire dalla consapevolezza che è «improponibile una concezione meramente mercantile del lavoro umano, quasi fosse una qualunque merce di scambio sottoposta alla legge della domanda e dell’offerta». LA COLLETTA NAZIONALE DEL 31 MAGGIO E’ in questa prospettiva che si colloca la Colletta nazionale che il 31 maggio si svolgerà in tutte le parrocchie per «dare vita ad un Fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà». «È un’iniziativa – la prima nel suo genere – che vuol dare una risposta concreta a quelle famiglie monoreddito che abbiano momentaneamente perso l’unico cespite di entrata, con più figli a carico, oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità», ha ricordato il cardinale, citando anche la «molteplicità degli interventi che le singole Chiese locali stanno mettendo in atto». LA CHIESA NON FA SELEZIONI TRA CARITÀ E BIOETICA«Non si può assolutizzare una situazione di povertà a discapito delle altre; ma non si può nemmeno distinguere tra vita degna e vita non degna». Con queste parole il card. Bagnasco, nella prolusione all’Assemblea della Cei, ha spiegato come «rispetto alle diverse stazioni della "via crucis" che l’uomo oggi affronta, la Chiesa non fa selezioni». «La sua iniziativa – ha però precisato - non ha mai come scopo una qualche egemonia, non usa l’ideale della fede in vista di un potere”, ma “per una società veramente umana». All’obiezione di chi suggerisce alla Chiesa di privilegiare la «carità», dove «si incontrano facili consensi», alla bioetica, il cardinale ha risposto che «fraintendimenti e deviazioni restano incombenti, se non si è costantemente richiamati al valore incomparabile della dignità umana, che è minacciata dalla miseria e dalla povertà almeno quanto è minacciata dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione della vita. Avere a cuore i temi della bioetica è un modo per avere a cuore l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani». «Non c’è contraddizione», dunque, «tra mettersi il grembiule per servire le situazioni più esposte alla povertà e rivolgere ai responsabili della democrazia un rispettoso invito affinché in materia di fine vita non si autorizzi la privazione dell’acqua e del nutrimento vitale a chi è in stato vegetativo. È una questione di coerenza».
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