martedì 24 maggio 2011
«Dalla crisi oggettiva in cui si trova, il Paese non si salva con le esibizioni di corto respiro, ma solo con un soprassalto diffuso di responsabilità».  A dirlo è il presidente della Cei nella prolusione alla 63esima Assemblea dell'episcopato. Tra i temi trattati: la piaga degli abusi sessuali commessi da esponenti del clero, le politiche per la famiglia, la legge sul fine vita.
- IL TESTO DELLA PROLUSIONE | I DIECI PUNTI DELLA PROLUSIONE
- IL COMMENTO Non scusare, non trascurare di Francesco D'Agostino
- LE REAZIONI "Lettura attenta della realtà"
- L'INTERVISTA Zamagni: «Non c'è diritto al posto, ma a darsi da fare»
- LA CONFERENZA STAMPA Crociata: in politica la Chiesa non è di parte; sugli abusi sessuali intervenire prontamente
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Per il futuro dell’Italia servono dialogo e fatti concreti. Soprattutto: sostegno alla famiglia, diversa concezione del lavoro, investimento sui giovani e difesa della vita, anche per combattere la denatalità. Perché nonostante la politica «inguardabile» e «ridotta a litigio perenne», nonostante «la gente stanca di vivere nella rissa» e sempre più «disamorata», vi sono «tante forze positive all’opera, che non vanno schiacciate su letture universalmente negative o pessimistiche».È questa in sintesi la fotografia – lontana dal «canto dei catastrofisti» – che emerge dalle 12 cartelle della prolusione con cui il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto ieri pomeriggio nell’Aula del Sinodo in Vaticano la 63.ma Assemblea generale della Cei. Ai vescovi, ribadisce il porporato, questa Italia sta sommamente a cuore e perciò, anche allo scopo di «dare voce all’invocazione interiore del Paese sano che è distribuito all’interno di ogni schieramento», «non ci stanchiamo di incoraggiare i gesti di assennatezza che mirano a creare condizioni di pace sociale e di alacre operosità». La chiamata del cardinale Bagnasco è ad uno scatto di responsabilità generale, perché «tutti – afferma il presidente della Cei – dobbiamo essere dei "ricomincianti"». E quindi, in primo luogo alla Chiesa, della quale il cardinale non nasconde le rughe (ad esempio definendo «un’infame emergenza ancora non superata» la pedofilia di cui si sono macchiati alcuni sacerdoti; «sull’integrità dei nostri sacerdoti non possiamo transigere, costi quel che costi»; già al lavoro un gruppo di esperti per redigere le linee guida per l’Italia), ma ricorda anche «il bene che c’è», l’impegno della stragrande maggioranza dei preti e l’enorme potenzialità in ordine alla formazione di una nuova classe dirigente. «La nostra opzione di fondo – ricorda infatti – resta quella di preparare una generazione nuova di cittadini che abbiano la freschezza e l’entusiasmo di votarsi al bene comune».Soprattutto il presidente della Cei mette l’accento sulla famiglia. «Ciò che serve, ed è quanto mai urgente, è passare alla parte propositiva, agli interventi strutturali efficaci per dare dignità e robustezza a questa esperienza decisiva per la tenuta del Paese e il suo futuro». Nulla, sottolinea Bagnasco, «è davvero garantito se a perdere è la famiglia; mentre ogni altra riforma, in modo diretto o indiretto, si avvantaggia se la famiglia prende quota». Il porporato torna sull’«emergenza denatalità» dai contorni «obiettivamente allarmanti». «L’Italia del 2040 o del 2050 chiede, anzi supplica l’Italia di oggi, a porre mente alle questioni che stanno compromettendo alla radice le condizioni per un affidabile equilibrio demografico». Inoltre, «sovvertire le categorie valoriali, mettendo a repentaglio con l’istituto familiare l’asse portante di ogni società, significa sventrare – per miopia intellettuale o per lucida strategia – il fondamento antropologico del benessere civile». A questo proposito il cardinale punta il dito contro l’«individualismo indiscriminato» e la corruzione. «Corrompere i costumi, e ancor più il modo di pensare, è un crimine contro Dio, la persona e la società intera».Altro argomento cardine per costruire l’avvenire è il lavoro. «Vorremmo che niente rimanesse intentato per salvare e recuperare posti di lavoro». E qui il presidente della Cei stila quasi un elenco programmatico di 11 «vorremmo», compreso quello appena citato. «Vorremmo che si riabilitasse anche il lavoro manuale, contadino e artigiano. Vorremmo che gli adulti non trasmettessero ai figli atteggiamenti di sufficienza o disistima verso lavori dignitosi e tuttavia negletti o snobbati. Vorremmo che il denaro non fosse l’unica misura per giudicare un posto di lavoro. Vorremmo che i lavoratori non fossero lasciati soli e incerti rispetto ai cambiamenti necessari e alle ristrutturazioni in atto. Vorremmo che gli imprenditori si sentissero stimati e stimolati a garantire condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro e a reinvestire nelle imprese i proventi delle loro attività. Vorremmo che tutti i cittadini sentissero l’onore di contribuire alle necessità dello Stato, e avvertissero come peccato l’evasione fiscale. Vorremmo che il sindacato, libero mentalmente, fosse sempre più concentrato nella difesa sagace e concreta della dignità del lavoro e di chi lo compie, o non riesce ad averne. Vorremmo che le banche avvertissero come preminente la destinazione sociale della loro impresa e di quelle che ad esse si affidano. Vorremmo che scattasse da subito tra le diverse categorie un’alleanza esplicita per il lavoro che va non solo salvato, ma anche generato. Vorremmo che i giovani, in particolare, avvertissero che la comunità pensa a loro e in loro scorge fin d’ora il ponte praticabile per il futuro».L’accento su famiglia e lavoro non fa passare in second’ordine altre questioni fondamentali come vita e scuola. E se su quest’ultimo argomento, il cardinale annota che «è la scuola, tutta la scuola, che dobbiamo amare con predilezione, qualificando certo la spesa ma non prosciugando risorse che lasciano scoperti servizi essenziali come le materne, il tempo pieno, le scuole professionali, la ricerca», altrettanto inequivocabile è la posizione espressa in merito alla legge sul fine vita. «Il cui varo – scrive Bagnasco – si configura come un approdo non solo importantissimo per le famiglie che hanno al proprio interno casi riconducibili alla evocata situazione, ma anche altamente significativo per la composizione calibrata e ispirata al principio di precauzione dei beni in gioco». L’auspicio espresso dal presidente della Cei è quello che «il provvedimento – al di là dei tatticismi che finirebbero per dare un’impressione errata di strumentalità – non si imbatta in ulteriori ostacoli, ottenendo piuttosto il consenso più largo da parte del Parlamento».Numerosi altri temi trovano posto nella prolusione del cardinale. Dalla beatificazione di Giovanni Paolo II alla preghiera a Maria per l’Italia, alla Gmg di Madrid. Quanto ai moti popolari in atto nel Nordafrica e alle conseguenti ondate migratorie, il porporato fa notare: «I cittadini d’Europa sinceramente comunitari vogliono a questo punto capire perché per i missili c’erano soldi e intesa politica, mentre per i profughi non ci sono i primi ed è inesistente la seconda». E sull’atteggiamento dell’Italia sottolinea: «È vero che non tutto ha funzionato», ma «in generale il Paese non può non essere fiero di quel che infine gli è riuscito complessivamente di offrire». A riprova del fatto che «l’Italia non è solo certa vita pubblica», e che «nell’animo degli italiani non sta venendo meno la voglia di migliorarsi, di crescere, di impegnarsi».
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