sabato 2 aprile 2016
«Anche da anziano era rimasto giovane»
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Il vescovo Morerod: il segreto di Cottier? La fiducia che è Dio a guidare la Chiesa. Ricordo del teologo George Cottier «Per me è stato un confratello, un amico, un maestro sulle cose essenziali del cristianesimo. Ricorrevo a lui per dirimere le domande più difficili e spinose, ma anche per le questioni delicate che dovevo affrontare nella veste di teologo ottenendo sempre risposte adeguate e consolanti ai miei interrogativi. Ora mi troverò un po’ di più in prima linea senza poter contare sull’aiuto formidabile di padre Cottier... La sua partenza verso il Cielo mi fa prendere coscienza che abbiamo bisogno di santi come lui». È la prima istantanea che affiora dalla mente del vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, il domenicano Charles Morerod, che oggi sarà a Roma nella basilica di San Pietro per partecipare ai funerali del cardinale svizzero e così tributare l’omaggio al suo antico “professore” a Friburgo. Dal suo fitto album di ricordi monsignor Morerod rievoca i suggerimenti e gli incoraggiamenti ricevuti dal suo maestro di teologia – soprattutto durante gli anni romani («ma anche quelli a Ginevra... ») – «quando ero rettore dell’Angelicum e poi segretario della Commissione Teologica Internazionale». Dei tanti «doni ricevuti» il vescovo Morerod ne elenca soprattutto uno: «Il regalo più bello è stato quello di avermi voluto consacrare vescovo nella Cattedrale di Friburgo. Aveva già 89anni. E rammento ancora le sue parole: “Non dovrei fare questo viaggio, ma non posso non farlo...”. Rimasi colpito e commosso da questo suo gesto di generosità verso di me». A intrecciare la vita del presule con quella di Cottier sono state le comuni passioni per il tomismo, l’eredità teologica e spirituale di Journet, ma anche il provenire da una terra di frontiera e pluriconfessionale per il cristianesimo come la Svizzera e non da ultimo l’essere entrambi figli dello stesso Ordine: i domenicani. «Tutto questo ha aiutato a rendere fertile la nostra amicizia – rivela il vescovo – ma anche a cementare il nostro rapporto di collaborazione che è stato segnato da una comune visione teologica. Teneva moltissimo alla trasmissione del pensiero cattolico, in particolare quello di san Tommaso e di Journet. Rammento ancora un suo insegnamento di fronte a certe mie perplessità sulla teologia del passato, soprattutto sul tomismo: “Ci sono delle cose che devono essere ripetute altrimenti saranno dimenticate”».  Ma di padre Cottier monsignor Morerod evidenzia il ruolo di “uomo di fiducia” di Giovanni Paolo II. «Ha vissuto il suo impegno di teologo della Casa Pontificia e poi di membro della Commissione Teologica Internazionale – osserva– soprattutto come un servizio fatto con grande discrezione. Solo oggi si sa bene quale ruolo abbia avuto per la stesura di un documento cruciale per il pontificato wojtyliano come “Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato” del 2000. Wojtyla e Cottier erano accomunati da una lettura simile attorno ai totalitarismi del Novecento: il nazismo e il marxismo.  Ad accomunarli, strano a pensarsi, era il fatto che entrambi furono allievi della stessa università, quasi negli stessi anni: l’Angelicum». Come rievoca il «modo amabile e umile con cui presentò il mio profilo di teologo» (“padre Morerod dice sempre la verità”) all’allora cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. Del suo illustre confratello il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo sottolinea la dolcezza e la scelta di guardare sempre in avanti sullo stile di papa Francesco e della sua “Chiesa in uscita”. «Fino alla fine della sua esistenza – è la riflessione – si è interessato a tutto con vera passione. Grazie alla sua vita spirituale e intellettuale è rimasto uno spirito giovane. Non l’ho mai visto ripiegato sul passato glorioso della Chiesa in modo nostalgico, anche se amava la Tradizione. Il segreto di questo suo ottimismo? Fidarsi del fatto che è Dio a guidare la Chiesa. Poche ore fa mi ha scritto un comune amico filosofo queste parole: “Felice chi lascia dietro di sé tali tracce di luce”. Quante sono vere queste parole». Il suo più grande lascito? «Quello di essere stato un domenicano spirituale e intellettuale. Non ha mai compreso la teologia fuori da una prospettiva contemplativa».
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