martedì 16 dicembre 2008
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Con i suoi 44 ettari di superficie, è lo Stato sovrano più piccolo al mondo. Perfino più piccolo della Villa Pontificia di Castelgandolfo. Ma, nonostante ciò, tutti concordano nel riconoscergli un’importanza inversamente proporzionale alla sua estensione. Anche se, molto spesso, i piani tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano vengono sovrapposti.Ed è proprio di quest’ultimo che parliamo con il cardinale Giovanni Lajolo, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato  della Città del Vaticano, e, insieme, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, l’ente che, come indica il nome, "governa" il funzionamento del piccolo Stato che, tra poco meno di due mesi, il prossimo 11 febbraio, compirà 80 anni.Perché, con la firma dei Patti Lateranensi del ’29, si volle la costituzione dello Stato della Città del Vaticano?Per assicurare, con una garanzia stabile e internazionalmente inoppugnabile, l’indipendenza del Papa da qualsiasi potere politico e la sua libertà totale da condizionamenti esterni nella guida della Chiesa universale. Tale condizione di diritto non era più data dopo la Breccia di Porta Pia, sebbene lo Stato italiano cercasse di garantire la libertà del Pontefice con la legge delle Guarentigie, in quanto tale garanzia dipendeva solo dalla volontà del legislatore italiano. È ovvio allora che in una tale situazione la Santa Sede non poteva sentirsi tranquilla. Con uno Stato, seppur piccolo, anzi minuscolo, ma veramente sovrano, su cui doveva valere solo l’autorità del Sommo pontefice, una tale garanzia era data a livello internazionale.È una ragione ancora attuale? In 80 anni quelle motivazioni hanno perso validità o, al contrario, se ne sono aggiunte di nuove?La ragione d’essere dello Stato Vaticano era quella, e nulla ha perso della sua forza. L’importanza religiosa e umana di questo minimo scudo territoriale fu del tutto palese durante la seconda guerra mondiale. Quando l’invasore nazista occupò Roma, non osò superare i confini dell’inerme Stato Vaticano; e durante tutti gli anni del conflitto il Papa, come sovrano di uno Stato indipendente, non appartenente ad alcuno Stato in conflitto, poté svolgere un’incessante opera per la pace, a beneficio di tutti i Paesi, e poté anche dispiegare una vastissima azione in favore dei soldati prigionieri e dei dispersi a motivo della guerra. Né va dimenticato, o svalutato, quanto il Vaticano poté fare in favore degli ebrei. La presenza dello Stato Vaticano fu anche, non dimentichiamolo, di efficace difesa per l’incolumità di Roma, nel cui tessuto urbano il Vaticano è totalmente integrato. E prima ancora di tutto ciò, l’indipendenza territoriale del Papa gli permise di continuare, in relativa sicurezza, nello svolgimento di tutti i quotidiani impegni del suo ufficio nella guida della Chiesa nelle diverse parti del mondo.E dopo?Negli anni più recenti, tutti siamo stati testimoni, per esempio, dell’apporto che l’organizzazione funzionale dello Stato Vaticano ha potuto fornire, per esempio, per la convocazione e lo svolgimento del Concilio Vaticano II, del Sinodo dei Vescovi, e degli Anni Santi fino al Grande Giubileo dell’anno 2000.In che modo, e in che misura, lo Stato della Città del Vaticano è oggi funzionale alla missione della Sede Apostolica?Oggi, come in passato, lo Stato della Città del Vaticano non è, se mi è consentita l’immagine, che un piedistallo su cui la Santa Sede poggia, mentre l’azione della stessa Santa Sede è tutta rivolta ad extra. Sotto due aspetti principali mi pare si possa rilevare la funzionalità dello Stato vaticano rispetto alla Santa Sede. Il primo è questo: per diversi Stati i rapporti ufficiali - diplomatici o non diplomatici - con la Santa Sede appaiono possibili solo se se vengono concepiti non come rapporti religiosi, ma come rapporti con un altro Stato, appunto quello vaticano, ad essi omogeneo, anche se in realtà non sono le questioni di Stato che a loro interessano, ma l’attività propria della Chiesa nel mondo, la cosiddetta "politica vaticana". L’altro aspetto, idealmente più modesto ma più impegnativo nel concreto dell’attività propria dello Stato della Città del Vaticano, è di garantire l’agibilità degli edifici, la funzionalità dei mezzi di comunicazione e la loro completa indipendenza, i mezzi di sussistenza e gli strumenti e le condizioni di lavoro del Papa e della Curia romana. Insomma, tutto ciò di cui v’è bisogno per un’ordinata attività civile.Diverse volte in passato era stato rilevato il gap tra le moderne legislazioni e quella dello Stato vaticano, considerata arretrata, per esempio in materia di diritto del lavoro, tanto che papa Wojtyla volle una profonda revisione della materia. Crede che oggi quei rilievi possano ritenersi superati?Preferirei astenermi da considerazione circa la modernità delle istituzioni. Ciò che conta è anzi tutto lo standard di qualità e di soddisfazione degli impiegati e dei lavoratori. Se dobbiamo giudicare dai pochi casi di ricorso al nostro ufficio del lavoro - si possono contare sulle dita di una mano -, mi sembra si debba dire che in Vaticano la situazione sia più che soddisfacente. Anche dai miei numerosi contatti con i dipendenti, i quali hanno tutti e sempre libero accesso al mio ufficio, posso testimoniare che non vi sono vere lagnanze. Solo gli stipendi dei ruoli dirigenti del Vaticano, e della Santa Sede, non corrispondono a quelli correnti in Italia. Non è un male. Anzi! Quanto alle nuove leggi, recentemente la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano ha emanato una legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e circa un mese fa è stato varato il rispettivo regolamento. Si sta ora procedendo a una puntuale e accurata verifica delle condizioni e attuazioni delle norme. Il primo gennaio del 2009 entrerà poi in vigore una legge sulle fonti del diritto, a firma del Santo Padre, che aggiorna quella del 7 giugno 1929.
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