Le novità della “Dei Verbum”, capolavoro teologico del Vaticano II

Il documento che riformulò il modo di comprendere la Rivelazione, la Tradizione, la Scrittura e il loro rapporto con la vita della comunità credente
December 10, 2025
Le novità della “Dei Verbum”,  capolavoro teologico del Vaticano II
È uso insistere sul carattere «pastorale» del Vaticano II, la cui preoccupazione fondamentale fu di ridefinire i rapporti fra Chiesa e modernità, in vista di operare un “aggiornamento” delle forme del cristianesimo, onde favorire l’annuncio del Vangelo a ogni uomo e donna del nostro tempo.
Sarebbe però fuorviante negare ai testi conciliari l’interesse «dottrinale» per la cosa stessa della fede; il nuovo atteggiamento nei confronti del mondo avviene alla luce della ricomprensione cristologica della Rivelazione che caratterizza la teologia del ’900. Tale opera di ricomprensione ha il suo vertice nella Costituzione dogmatica Dei Verbum. Orbene, essa è unanimemente considerata il capolavoro teologico dell’ultimo Concilio. Non per ampiezza – è uno dei testi più brevi – ma per densità dottrinale e portata metodologica. Con la Dei Verbum è stato riformulato alla radice il modo di comprendere la Rivelazione, la Tradizione, la Scrittura e il loro rapporto con la vita della comunità credente.
La prima grande svolta della Dei Verbum consiste nel concepire la Rivelazione non come un deposito di verità astratte, ma come iniziativa salvifica di Dio che si comunica nella storia. La Rivelazione non è un patrimonio dottrinale di idee, ma una serie di eventi e parole intimamente connessi: «Dio parla agli uomini come ad amici» (Dei Verbum, 2). Qui si compie il passaggio definitivo oltre il modello neoscolastico, centrato sulle proposizioni rivelate, verso una visione personalistica, relazionale, biblico-salvifica: al centro non sta il contenuto, ma il Dio che si dona. La Rivelazione non è una somma di nozioni: è alleanza, dialogo, comunione.
Contro la rigida teoria delle “due fonti” della Rivelazione (Scrittura e Tradizione come canali paralleli), la Dei Verbum offre una visione organica: Tradizione e Scrittura formano un’unica realtà dinamica, generata dall’unico atto rivelatore di Dio e custodita nel tempo dallo Spirito (Dei Verbum, 9-10). La Tradizione non è un archivio immobile, ma la Chiesa stessa che – nel suo pellegrinare in terra – trasmette ciò che ha ricevuto. La Scrittura ne è il cuore normativo, ispirata dallo Spirito e fonte primaria di ogni discernimento ecclesiale.
Il capitolo III, spesso considerato il più innovativo, afferma che i libri biblici sono davvero “Parola di Dio”, ma al tempo stesso opera di autori umani: lo Spirito non annulla la storia, la assume. Perciò occorre interpretare la Bibbia tenendo conto dei generi letterari, delle intenzioni degli autori, dei contesti storico-culturali (Dei Verbum, 12). Qui la Chiesa recepisce – finalmente senza sospetti – i metodi scientifici della ricerca biblica moderna, superando ogni tentazione fondamentalistica e riconoscendo che l’Incarnazione di Dio passa anche attraverso parola umana, linguaggi umani, storia umana.
La Dei Verbum riconduce tutto alla cristologia: il centro della Rivelazione non è la Bibbia in sé, ma Gesù Cristo, la Parola eterna fatta carne (Dei Verbum, 2). La Scrittura è “sacra” perché testimonia e rende presente l’evento di Cristo. Si potrebbe dire: non è la Chiesa a servire la Bibbia né la Bibbia a servire la Chiesa, ma entrambe sono al servizio del Cristo vivente.
Il capitolo VI, di una bellezza sobria, afferma che la Scrittura deve diventare l’anima della teologia, la linfa della predicazione, il nutrimento della liturgia, la sorgente della vita spirituale. Nessun Concilio precedente aveva chiesto con tanta forza un ritorno alla Parola. La riscoperta della lectio divina, la riforma liturgica, il rinnovamento biblico sono frutti diretti di questa svolta.
Il cardinale Carlo Maria Martini, grande maestro della Parola (orale e scritta), a cui la Chiesa deve molto per aver posto al centro la Parola di Dio, ha scritto: «Essere cristiani vuol dire avere riconosciuto il primato e la principalità di questa Parola. Vuol dire riconoscere che essa è attiva fin dalle origini del mondo, e che ci raggiunge e ci interpreta in ogni momento della nostra vicenda umana». Si noti la doppia metafora: l’una generativa e l’altra comunicativa. La Parola genera e comunica nella misura in cui entra nella drammatica dell’umano, assume i suoi linguaggi per illuminarli con la luce della sua presenza misericordiosa e corroborante.
Soltanto in quanto “appello” che interroga e provoca a un ascolto della Parola nella Scrittura (momento generativo), la nostra “risposta” (personale, comunitaria, evangelizzatrice) diventa capace di testimoniare ad altri nella loro lingua (parole, riti, costumi, cultura, istituzioni) la forza trasformante (momento comunicativo) della Parola del Vivente.
La Dei Verbum ci porta su questa vetta altissima in cui appello e risposta si corrispondono ed entrano in reciproca cospirazione. La Rivelazione e la fede si alimentano a vicenda, come il pane eucaristico nutre il credente e la Chiesa, popolo di Dio. Questo traguardo – l’ultimo in esecuzione – si rivela alla fine il primo nell’intenzione, per suggellare il testo più bello del Concilio Vaticano II.

© RIPRODUZIONE RISERVATA