In ricordo dei nostri cari. L'amore vero non muore

Nel giorno dedicato ai defunti, facciamo memoria dei nostri legami, tra dolore e preghiera. Andare al cimitero a qualcuno incute timore, a me dà serenità
November 1, 2025
In ricordo dei nostri cari. L'amore vero non muore
Poi arriva lei, la “megera”, e, come un uragano, si porta via tutto. A volte si presenta quando meno te l’aspetti, nel modo più impensato. Carmela è una donna giovane e bella, ama ed è riamata. Attende il primo figlio. Qualcosa poi s’ inceppa e lei si lascia scivolare via insieme al suo bambino. Luciano, invece, si aggrappava con tutte le forze alle mille bugie che gli andavamo raccontando. Finché si arrese. Aveva sedici anni. Quante donne, belle e innamorate, hanno dovuto soccombere alle macabre follie del maschio al quale avevano creduto. Quanta sofferenza pervade questo mondo destinato a essere un giardino.
Giorno dei Morti. Giorno della Memoria, del dolore che si acuisce, della rabbia che ritorna, delle domande, della preghiera, per chi crede. Sono andati via, ma sono più vivi che mai. Nel ricordo, certamente, ma, col tempo, anche il ricordo è destinato a scomparire. Poi? “Forte come la morte è l’amore”, scrive l’autore del Cantico dei cantici. E, l’amore vero, di morire non ne vuol sapere. Chi ama sente il bisogno di dare. La morte della persona amata ci graffia l’anima perché spezza la possibilità di donare ancora. Vorrei mettere il mondo sottosopra e invece me ne sto, impotente, con le mani in mani, a fissare il vuoto.
Per chi crede in Gesù risorto, il dialogo, all’ombra dei cipressi, non si esaurisce. La chiacchierata continua. Anche le carezze. La goccia non si è dissolta, ma è confluita nel grande Mare. In un modo misterioso, certo. Mistero, però, non è sinonimo di assurdo e nemmeno di illusione. Nel mistero mi perdo e mi ritrovo. Mistero è la chiave di lettura senza la quale le parole del libro della vita si fanno incomprensibili scarabocchi. Del mondo che ci abbraccia e finanche di noi stessi sappiamo tanto poco. C’è chi afferma che Dio lo hanno inventato gli uomini proprio per questa ancestrale paura della morte. Resta da capire perché mai gli uomini dovrebbero temerla, la morte. Non solo, resta da capire ancora che cosa sia la paura stessa, e le mille emozioni contrastanti che rendono originale e interessante lo scorrere dei giorni.
La verità è che non bastiamo a noi stessi. Per rimanere in vita abbiamo bisogno dell’acqua e dell’aria, del pane e delle api; della mamma e dell’amore; dell’amico e dei libri; dei maestri e della fantasia. Ma perché non riescono a riempire il vuoto che mi porto dentro le mille cose che ho accumulato, i traguardi che ho raggiunto, i libri che ho letto, i viaggi che ho fatto, le persone che ho amato? Eppure, nonostante l’avanzare delle scienze e le scoperte della medicina, nessuno può aggiungere alla sua esistenza nemmeno un alito di vita.  Un alito, ho detto, non un secolo. Ma, allora, sono mio o non sono mio? Mi appartengo a pieno titolo o sono solo un inquilino di me stesso? Immergiamoci nella riflessione senza paura. Nella disputa per tentare di capire qualcosa in più non esistono vinti e vincitori.
Siamo tutti sulla stessa barca. Che grazia è, oggi, il nostro vecchio cimitero per chi riesce a riposare sulla Parola di Dio. A qualcuno incute timore, a me dona serenità. Là, riuniti nella tomba di famiglia, mi attendono coloro dai quali è scaturita la mia esistenza. Li guardo, li ringrazio. Scherzo: «Ma come? Avete donato la vita a me e non siete stati capaci di tenervela per voi? Vuol dire, allora, che qualcun altro l’ha donata a me e a voi». Lo sguardo si posa poi su Francuccio e Giovanni. E la mente già corre ai giorni in cui giocavamo insieme. Ai guai che combinavamo; alle urla della mamma, al timore che papà venisse a sapere della nostra marachella.
Anche voi, cari fratelli miei, siete andati via. Vi fisso. Vi parlo. Accendo una candela. Sistemo i fiori. Tento di bloccare una lacrima ribelle. Ma è sempre troppo poco. Io non voglio illudermi né illudere. Io bramo la verità. Ditemi, vi prego: dove siete? Avete consapevolezza che quaggiù continuiamo ad amarvi? A soffrire per la vostra assenza? “Pregate per i morti”, ci consiglia la Chiesa. Pregate perché fa bene a loro e a voi. Pregate perché nemmeno la tagliente lama della “megera” ha potuto recidere il vincolo che vi ha legati in vita. Pregare per i morti è anche pregare per sé stessi. Il pensiero che la vita inesorabilmente scorre ci allontana dalla cattiveria, dall’avarizia, dall’invidia, dalla superbia; ci spinge ad abbracciare il mondo e le sue creature. Ci fa alzare gli occhi e ringraziare Iddio. E se il dolore prende il sopravvento sulla speranza della risurrezione, accogliamolo, non ricacciamolo indietro. C’è un tempo per ogni cosa. Al cimitero, oggi, rimettiamo insieme i cocci e rimaniamo in ascolto. Poliuto a Paolina: «Invano ci mettiamo sulla difensiva. Questo Dio tocca i cuori quando meno ce lo aspettiamo». È vero. Possa accadere oggi anche per  noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA