In Burkina Faso c'è una nuova casa per le famiglie che cercano Dio
Una chiesa dedicata ai coniugi Martin è stata costruita a Saaba. A realizzarla è la Fraternità di Emmaus, che pensa a far fiorire nella cittadella della missione un centro di spiritualità per giovani e coppie di sposi

Sono partiti all’alba, Isidor e Eugenie Kyelem, mano nella mano con i loro due figli. Hanno lasciato il loro villaggio nei pressi di Koupéla camminando nella polvere rossa, come si fa nelle grandi occasioni. Non avevano mai visto una chiesa nuova, né erano mai stati invitati a un’inaugurazione. «Ma non è solo per questo che siamo venuti», dice lei, con un sorriso timido. «Sentiamo che qui c’è qualcosa anche per noi». Lei è insegnante, lui ha un allevamento di polli, sono sposati da sette anni. Pur solido e fedele, sentono che il loro matrimonio può ricevere qualcosa di più, un nuovo respiro. Così, quando hanno saputo dell’inaugurazione della chiesa dedicata ai genitori di Teresa di Gesù Bambino, hanno deciso di mettersi in cammino. «La testimonianza dei santi sposi ci chiama – aggiunge Isidor – a essere protagonisti, come marito e moglie, nella fede».
Storie come la loro hanno attraversato Saaba, una cittadina al confine con la capitale del Burkina Faso, sabato 15 novembre, nella festa colorata e vibrante che ha accompagnato la benedizione della nuova chiesa intitolata ai santi Louis e Zélie Martin. Un edificio di 350 metri quadrati che richiama, nella forma e nello spirito, la paillotte africana: una “tenda di Dio” piantata tra la gente della Terra degli uomini integri così definita da Sankara a partire dal 1984. A realizzarla è stata la Fraternità di Emmaus, il movimento ecclesiale fondato in Italia da don Silvio Longobardi, presente da più di vent’anni nel Paese tra i più poveri del mondo. Accanto ai consacrati, coppie di sposi che condividono la missione: prendersi cura delle famiglie, ascoltarle, accompagnarle, offrire loro luoghi e percorsi di crescita spirituale. È da questo intreccio di vocazioni che nasce il sogno di un centro di spiritualità coniugale radicato proprio qui, nella terra del Sahel, con i santi Martin come riferimento essenziale. La celebrazione, presieduta dall’arcivescovo emerito di Koupéla, François Rouamba, ha segnato non solo il compimento di un’opera architettonica, ma un nuovo inizio. Lo ha detto apertamente don Longobardi: «Sarebbe una cattedrale nel deserto se non fosse parte di una storia. È il cuore di un’opera più grande, che nasce dall’incontro con un popolo che vive con dignità e con una Chiesa che testimonia la gioia della fede. Questa chiesa apre nuovi orizzonti missionari, specialmente a favore delle famiglie locali». Non a caso la Cittadella “Luigi e Zelia Martin”, 40 mila metri quadrati alle porte di Saaba, non è pensata come un complesso da visitare, ma come un luogo da abitare: punto di riferimento per sposi, sacerdoti, genitori, giovani, bambini. Un’oasi di spiritualità, di formazione e di ristoro.
La chiesa, progettata da una coppia di architetti italiani, Giovanna e Tonino Ciniglio, e costruita da un’équipe interamente burkinabé con la collaborazione di volontari e artisti dei due Paesi, porta impressa questa comunione. Le sue linee curve, la copertura che richiama la capanna tradizionale, il grande porticato aperto alla luce: tutto parla di un dialogo tra liturgia e cultura, tra Africa ed Europa, tra fede e vita quotidiana. Nel messaggio inviato per l’occasione, il vescovo metropolita di Ouagadougou, Prosper Kontiebo, ha riconosciuto nella Fraternità di Emmaus un’opera ecclesiale «seria, devota e zelante, impegnata nell’evangelizzazione e nella promozione della fede». E da Alençon, in Francia, padre Thierry Hénault-Morel, rettore del santuario dei santi Martin, ha salutato con gioia questa nuova “alleanza spirituale” tra le due sponde del mondo cattolico: «Come avrebbe potuto Teresa amare Gesù e diventare patrona delle missioni – ha scritto – se non l’avesse imparato dai suoi genitori?». Non è casuale che questa chiesa nasca nell’anno in cui papa Leone XIV, per il decimo anniversario della canonizzazione dei Martin (18 ottobre 2015), ha ricordato che la santità non si conquista «malgrado il matrimonio, ma attraverso, nel e con il matrimonio». Un invito che parla profondamente al Burkina Faso, terra giovane e ferita, dove i conflitti, la povertà e la mancanza di istruzione minano spesso la stabilità delle famiglie. Qui, più che altrove, la Chiesa sente l’urgenza di offrire non solo aiuti materiali, ma luoghi in cui «imparare l’unità coniugale e il dialogo», come ha detto nell’omelia l’abbé Marcel Compaoré. Per questo Eugenie e Isidor sono venuti. Perché in questa chiesa – nata da consacrati e sposi che camminano insieme – hanno intuito che c’è un invito rivolto anche a loro: scoprire la bellezza del matrimonio come vocazione, sentirsi parte di una comunità che li sostiene, diventare testimoni per le nuove generazioni ed educatori credibili. «È qualcosa che non riguarda solo loro, ma tante coppie dei villaggi intorno a Saaba e Koupéla» dice suor Caterina Paladino, responsabile della missione. Ed è ciò che la Fraternità di Emmaus, con mitezza e costanza, sta seminando: un’opera di carità che ha il volto della famiglia. Eugenie lo dice con semplicità, mentre guarda la nuova chiesa illuminata dal sole del pomeriggio: «Dio ha un progetto anche per noi come sposi, in questa luogo, vogliamo scoprirlo e viverlo». In quella luce c’è già l’inizio del centro di spiritualità familiare che qui, nel cuore dell’Africa, consacrati e coppie della Fraternità stanno costruendo. Un luogo dove la santità coniugale dei Martin diventi cammino possibile per tutti. Un luogo dove le famiglie, come loro oggi, possano sempre trovare la strada per rinnovare la bellezza di essere famiglia.
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