Educare oggi vuol dire farsi carico di esistenze ferite
Necessità sempre più complesse tra i più giovani indicano agli educatori il bisogno di connessioni vitali e di mantenere i ragazzi in un atteggiamento di apertura al mondo e alla vita. La riflessione del preside di Scienze della Formazione in Università Cattolica

Sempre più spesso gli educatori sono chiamati a rispondere a bisogni complessi attivando relazioni di aiuto in grado di aprire orizzonti di speranza anche nelle situazioni più difficili. Saper accogliere esistenze ferite è uno dei fattori di maggiore rilevanza per lo sviluppo della resilienza e per la promozione della speranza ed è ciò che permette di affrontare costruttivamente le situazioni critiche della vita.
Si stabilisce così, tra educatore ed educando, un atteggiamento solidale, una comunicazione in grado di vivificare la relazione educativa e di offrire nuove prospettive di sviluppo e di crescita. Tale atteggiamento, prima di essere frutto di una scelta operativa e professionale, esprime un modo di essere e rimanda alla capacità di approssimarsi all’altro, di comprenderlo e di vivere una relazione empatica. Questo atteggiamento nasce, in prima istanza, da un “principio ontologico” e solo successivamente si presenta come un “principio etico”. Esso è collegato alla natura profonda di ogni azione educativa che voglia farsi carico della fragilità dell’essere umano e voglia svilupparne la capacità di resilienza. Tale relazione, che possiamo definire di cura educativa, consiste nel farsi carico di un’esistenza ferita mantenendola in un atteggiamento di apertura al mondo e alla vita. Questo approssimarsi all’altro, stabilendo connessioni vitali, sconfigge la solitudine e genera speranza. Una speranza che possiamo definire creatrice e che cresce, o almeno può crescere, anche nel deserto dell’angoscia e della disperazione, dando vita a una circolarità salvifica nella relazione tra educatore e educando.

Infondere speranza è il compito che i due psicoanalisti Meltzer e Harris attribuiscono alla famiglia e che possiamo estendere a ogni relazione educativa. Nel loro volume Il ruolo educativo della famiglia scrivono: «La speranza [sembra] in un certo qual modo dipendere dalla possibilità che le forze costruttive prevalgano su quelle distruttive, sia per quanto riguarda l’individuo che il gruppo. [...] In un’atmosfera ricca di speranza sarà possibile fare progetti [...]; si svilupperanno energia e spirito di iniziativa e verrà così stimolato il desiderio di conoscere e d’imparare».
Per liberare la speranza attraverso l’educazione è necessario avere il coraggio, per così dire, di riaprire il vaso di Pandora, liberando la speranza che vi era rimasta imprigionata. È la paura del dolore, della sofferenza, che impedisce alla speranza di abitare tra gli uomini. A tal proposito può essere utile rileggere in questa chiave il mito narrato da Esiodo ne Le opere e i giorni. Saper accogliere la speranza significa saper stare di fronte all’essere umano nella sua totalità, con le sue risorse e con i suoi limiti, con le sue emozioni e i suoi vissuti senza esserne travolti. Questo è il compito della relazione educativa: favorire lo sviluppo della speranza e della fiducia. L’educatore potrà essere di aiuto soltanto se saprà dare speranza a chi si sente impotente e senza prospettive per il futuro.
Ma possiamo andare oltre: non solo educare alla speranza, ma «educare attraverso la speranza». L’espressione è stata usata dal cardinale Josè Tolentino de Mendonça nell’editoriale pubblicato su Avvenire alla Vigilia del Natale 2024. Educare attraverso la speranza non significa semplicemente educare alla speranza, ma implica che la speranza sia conditio sine qua non per educare. Non si può educare senza guardare al futuro con fiducia, ed è necessario avere un atteggiamento positivo nei confronti di chi è impegnato nel processo di crescita, creando le condizioni perché ciascuno possa esprimere il meglio di sé.
La ricerca pedagogica mostra che quando l’educatore ha aspettative positive e offre un sostegno adeguato al processo di crescita, l’educando è messo nelle condizioni di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Come ha ricordato papa Francesco nel videomessaggio del 15 ottobre 2020 per rilanciare il Patto Educativo Globale, «è tempo di guardare avanti con coraggio e con speranza. Pertanto, ci sostenga la convinzione che nell’educazione abita il seme della speranza: una speranza di pace e di giustizia. Una speranza di bellezza, di bontà; una speranza di armonia sociale».
Il compito di ogni educatore è porre a dimora questo seme affinché possa germogliare, crescere e portare frutto.
Domenico Simeone è preside della Facoltà di Scienze della formazione all'Università Cattolica del Sacro Cuore
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