Perché il cinema non riesce a fare a meno della Bibbia

Da 130 anni l’arte che mette insieme tutte le altre arti per esistere è come se avesse misteriosamente e regolarmente bisogno anche delle Scritture. Fin dai primi film muti
July 9, 2025
Perché il cinema non riesce a fare a meno della Bibbia
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Ritrovarsi nel buio della sala o, in alternativa, ricreare quel buio intorno allo schermo domestico: il mondo deve annullarsi affinché una nuova creatura prenda forma grazie a una nuova luce. È il cinema, l’ultima delle arti a essere stata inventata, l’arte che ha bisogno di tutte le altre per esistere. Per un cristiano è difficile non vedere la suggestiva analogia con la Creazione con la C maiuscola: «Fiat lux! Sia la luce», dice Dio, e tutto comincia. Cosa c’era prima di quella luce? Non è una domanda importante né pertinente, così come non importa se ci troviamo in un cinema di Roma o Milano, se fuori piove o c’è il sole o, come diceva Martin Lutero, «Dio era seduto sotto un salice a preparare fruste per chi pone domande impertinenti».
Alla luce del proiettore o dello schermo retroilluminato prendono forma vite che ci illudiamo essere finte, artificiali, ma che spesso continuano a vivere nelle nostre menti. Il creatore (con la c minuscola) di un film a un certo punto mette la parola fine alla storia, ma: cosa fa il buon Moussa, dopo che ha urlato «Io capitano!», dove vanno il vagabondo e la fanciulla che mano nella mano camminano verso l’orizzonte in Tempi moderni, Lara si sarà voltata dopo che Yurij Živago è stramazzato a terra, e Gesù sarà risorto dopo che la troupe ha tolto le tende in Jesus Christ Superstar?
Certo, la Creazione ci rimanda all’alba dei tempi, mentre quest’anno il cinema festeggia appena 130 anni di vita. Tuttavia, non è un caso che il cinema e la Bibbia abbiano quasi subito creato un interessante connubio o partnership, come si direbbe oggi. Risale al 1897 il Cristo che cammina sulle acque di Georges Méliès, illusionista che inventa gli effetti speciali, facendo vedere per la prima volta in live action i miracoli di Gesù. Parallelamente la corrente documentaristica filma le plurisecolari rappresentazioni della Via Crucis.
Le storie della Bibbia sono disponibili (gratis… perché il cinema è allo stesso tempo arte e industria), sono conosciute dal grande pubblico, che quando va al cinema non vuole troppe sorprese e preferisce storie familiari, e pongono delle sfide agli artigiani del cinema. La sfida più grande della trasposizione cinematografica della Bibbia è che essa non è stata scritta come una sceneggiatura. I molteplici episodi evangelici, per esempio, sono piuttosto quadri, che non hanno bisogno di dimostrare una coerenza narrativa: cruciale è credere che Cristo è il Salvatore, poi come è arrivato a Gerusalemme, quale strada ha percorso, se era a piedi, chi era con Lui, com’era vestito, insomma questi dettagli non hanno importanza per la fede. Ma per il cinema sì.
L’americano Cecil B. DeMille, che ricordiamo per I dieci comandamenti del 1956 con Charlton Heston, è il primo a intuire come sarebbe andata la relazione tra Bibbia e cinema, soprattutto per quanto riguarda i film su Gesù. Nel 1927 DeMille, fino ad allora re incontrastato del melodramma, decide di applicare questo genere alla narrazione del Vangelo. Esce così Il Re dei re (film muto, che si trova su YouTube), dove la Maddalena è una femme fatale che decide di sedurre Gesù, perché le ha portato via lo spasimante Giuda Iscariota, ma il piano non va come previsto e sarà lei ad abbandonare una vita decadente per seguire Gesù. Un racconto decisamente poco ortodosso che, però, dal punto di vista cinematografico funziona.
Così, diversi autori hanno adattato i racconti biblici al proprio stile: Pier Paolo Pasolini porta Gesù tra i diseredati della terra, Andrew Lloyd Webber, Tim Rice e Norman Jewison trasformano il Vangelo in un musical, così come Franco Zeffirelli lo trasforma in un’opera senza musica; i Monty Python ne fanno una parodia, Martin Scorsese racconta gli apostoli come una gang di Little Italy, Mel Gibson ne fa un racconto horror-splatter, mentre ultimamente Dallas Jenkins ne ha fatto una soap opera con il fenomeno The Chosen. Nessuno di questi è andato totalmente fuori strada, ma è riuscito a fornire un punto di vista in cui c’è sempre qualcuno che si possa riconoscere, spesso una persona di fede.
Infine è da notare che l’aspetto più interessante del connubio tra cinema e Sacre Scritture non sono le trasposizioni, bensì cinematografie intere o scene isolate in cui troviamo tracce di Bibbia. Ingmar Bergman, Robert Bresson, Andrej Tarkovskij, un protestante, un cattolico e un ortodosso, sarebbero impensabili senza Bibbia. Oppure pensiamo alla citazione di Ezechiele 25,17 in Pulp Fiction, in cui il sicario si converte dalle vie del male, abbandona la strada certa per l’incerta e scopre una libertà che non immaginava fosse di questo mondo e ci lascia con una definizione di miracolo degna di un’omelia: «Non si giudicano cose del genere sulla base dell’utilità. Ora, se questo fatto che ci è capitato sia stato o no, secondo tutte le regole, un miracolo, è insignificante. Ma quello che ha significato, è che io ho sentito il tocco di Dio!». Niente male per qualcosa che è solitamente considerato puro intrattenimento.
Pastore metodista, presidente dell’Associazione protestante cinema Roberto Sbaffi

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