Musulmani in oratorio, che fare? Ecco le proposte della diocesi di Milano
S’intitola “Fede e accoglienza: l’oratorio come luogo di incontro interreligioso” il documento della Chiesa ambrosiana. Che ribadisce: «L’accoglienza non è beneficenza ma evangelizzazione»

Le famiglie musulmane affidano volentieri i loro figli all’oratorio. Lo si vede specialmente in attività come l’oratorio estivo, il doposcuola, lo sport. E non mancano ragazzi di tradizione islamica – ma anche di altre fedi – che assieme ai loro coetanei e amici cattolici partecipano ad attività educative, laboratori e momenti comunitari nel corso dell’anno pastorale. Non si tratta solo di un modo per “occupare la giornata” dei figli, in particolare d’estate quando le scuole sono chiuse: sono numerosi infatti i genitori musulmani che apprezzano l’oratorio perché luogo affidabile di cura e accudimento, spazio sicuro in cui si trasmettono e vivono valori come la vita, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto, l’onestà, la pace.
Ma questa presenza non manca di porre domande e sfide, così come apre chances inedite all’annuncio cristiano. Che fare, ad esempio, quando un adolescente musulmano chiede di prestare servizio come animatore all’oratorio estivo? E come regolarsi di fronte all’ipotesi di momenti di preghiera per bambini di altre religioni? Alla radice: che fare perché l’oratorio sia sempre più spazio educativo capace di coniugare identità cristiana, accoglienza, dialogo e testimonianza del Vangelo in una società plurale? Offre risposte a questi nodi – e anzitutto criteri generali per le scelte pastorali alle quali è chiamata la comunità educante – il recente documento “Fede e accoglienza: l’oratorio come luogo di incontro interreligioso” nato dall’esperienza sul campo ed elaborato da alcune realtà dell’arcidiocesi di Milano: il Servizio per l’Ecumenismo e il dialogo, l’Ufficio per la Pastorale dei migranti, Caritas Ambrosiana e la Fondazione oratori milanesi (in chiesadimilano.it il testo integrale). Il documento – datato significativamente 27 ottobre 2025, memoria dell’incontro interreligioso di Assisi, promosso da san Giovanni Paolo II nel segno della preghiera per la pace, e 28 ottobre 2025, 60° anniversario della promulgazione della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II – è dunque il frutto di un “camminare insieme” da lungo tempo intrapreso dall’ambrosiana “Chiesa dalle genti” – come s’intitola il Sinodo minore vissuto dall’arcidiocesi di Milano fra il 2018 e l’inizio del 2019.a
Gli oratori «svolgono un servizio sociale formidabile e sono ampiamente apprezzati per questo, ma la loro funzione religiosa risulta agli occhi di molti sbiadita e non sempre pienamente compresa», riconosce il documento. Non pochi portano il timore che accogliere tutti «sulla spinta di ragioni umanitarie e sociali, contribuisca a indebolirne l’identità cristiana, anziché rafforzarla». Una preoccupazione che non va rimossa ma ascoltata e educata. Ricordando che «anche le identità sono in cammino, per cui occorre evitare ogni restrizione preconcetta nei confronti di un rinnovamento che si mostra sempre più necessario nell’attuale società plurale, in cui vi è il rischio che l’appello ad una relazione esclusiva con Cristo si traduca in forme relazionali escludenti».
Ecco dunque il documento chiarire subito – attingendo alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate e all’enciclica di Paolo VI Ecclesiam Suam – che «l’accoglienza dell’altro negli oratori non è un atto secondario o estraneo alla fede, ma una sua espressione necessaria». E che «uno stile dialogico è parte integrante della vita ecclesiale. Senza dialogo, la Chiesa non può essere “icona della Trinità”». In questa luce l’oratorio «si presenta come laboratorio privilegiato di incontro interreligioso: un luogo dove la fede diventa parola, messaggio e colloquio; dove i giovani imparano che accogliere l’altro non significa perdere la propria identità, ma vivere fino in fondo l’amore di Cristo». All’oratorio, in una società plurale, è affidato in modo peculiare «il messaggio più importante: che nessuno – a qualunque popolo appartenga e in qualsiasi situazione umana e sociale si trovi – è escluso dalla Grazia di Cristo che conduce alla salvezza». Dunque: «L’accoglienza non è beneficenza ma evangelizzazione». E l’oratorio, è «non tanto casa di tutti, ma casa aperta a tutti». Il documento chiama così la comunità educante a declinare la proposta dell’oratorio sulla scia dei quattro verbi additati da papa Francesco – accogliere, proteggere, promuovere, integrare.
Ampia parte del testo è poi dedicata alla presenza dei musulmani in oratorio, «quella che pone maggiori domande». Anzitutto si offrono «criteri generali per le scelte pastorali». Con l’invito a «tenere alti due livelli di attenzione: l’appartenenza confessionale dell’oratorio» e insieme «la possibilità di dar voce a tutti i linguaggi, anche religiosi; l’oratorio ha a cuore che a nessun sia impedito di coltivare il proprio cammino di fede». Ancora: «È importante valorizzare le differenze, oltre ad incontrarsi sugli aspetti comuni, evitando di omologare, appiattire o nascondere». Ed «è necessario inserire le diverse iniziative con risvolti interreligiosi nel progetto educativo dell’oratorio per far sì che non siano estemporanee». Inoltre: «È utile creare legami con le comunità islamiche del territorio e con le altre comunità religiose, cercando occasioni di incontro», per «giungere a collaborazioni significative e alla creazione di relazioni autentiche».
Seguono alcune indicazioni relative alla partecipazione di bambini e ragazzi musulmani alle attività dell’anno pastorale. Con un focus sulla proposta più apprezzata, l’oratorio estivo, che in arcidiocesi di Milano coinvolge ogni anno trecentomila bambini e quarantamila fra animatori, educatori, sacerdoti e religiosi. «Occorre evitare pregiudiziali atteggiamenti di chiusura come, per esempio, impedire ai ragazzi musulmani che siano animatori o che siano ammessi solo a condizione che preghino o siano presenti a tutte le proposte appartenenti specificatamente alla tradizione cristiana». Nel contempo: «È necessario evitare aperture eccessive come l’improvvisazione di preghiere islamiche o l’utilizzo di testi coranici o di altre religioni: ciò risulterebbe irrispettoso e non opportuno», com’è pure «indispensabile evitare iniziative sincretiche». Il documento consiglia di attivare laboratori interculturali.
«Non si esclude, poi, in alcuni contesti particolari in cui la vicinanza con una comunità musulmana o di altra confessione sia favorevole e lo scambio umano e interreligioso sia già stato sperimentato in modo reciprocamente rispettoso, la possibilità di pensare a dei momenti in cui bambini di altra religione abbiano un momento di preghiera più pensato per loro, guidato da responsabili della comunità religiose di appartenenza, o da alcune mamme o papà incaricati dalle comunità religiose e che si rendono disponibili a tale scopo». I luoghi consigliati per tali iniziative? «Il salone, le aule, il campo all’aperto». Attenzione: questa possibilità «non è offerta come alternativa al momento comunitario cui è bene proporre la partecipazione di tutti: l’oratorio ritiene la presenza di ragazzi di altre confessioni ai suoi momenti di preghiera e condivisione spirituale cristiana come momento formativo importante, anche in vista della costruzione di una società multireligiosa matura e rispettosa».
I criteri di fondo? «L’accoglienza, la conoscenza personale del ragazzo o della ragazza, la chiarezza nella proposta condivisa con la famiglia, il rispetto della libertà e la valorizzazione della loro presenza». Con un passo in più, suggerisce il documento: «Aiutare i ragazzi a riconoscere e a dare voce alle domande più profonde che abitano il loro cuore». Perché anche l’oratorio al tempo della società plurale si offra come occasione per ridestare in ciascuno «il desiderio di Dio».
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