Le criptovalute, il pallone e le scommesse: un business disastroso

Tra il mondo della finanza e quello del "betting" è esploso il successo delle "monete virtuali". Il caso dell'offerta respinta di Tether per Juventus costringe tutti a fare una riflessione su quel che è diventato lo sport più famoso del mondo
December 20, 2025
Le criptovalute, il pallone e le scommesse: un business disastroso
Una partita della Juventus allo Stadio Allianz di Torino /Reuters
Dopo il video in cui assicura che «la Juventus, la nostra storia, i nostri valori, non sono in vendita», John Elkann non può rimangiarsi la promessa. Le squadre di calcio non sono sventurate come i giornali: in genere perdono molti più soldi, ma si portano ancora dietro un gigantesco carico di passione ed emozioni profondissime di milioni di tifosi, per nulla disposti a scherzare sulle “cose serie”. Quindi Tether, uno dei giganti del favoloso mondo delle criptovalute, per adesso non potrà mettere le mani sulla squadra più scudettata d’Italia: dovrà accontentarsi del suo pacchetto di azioni, un significativo 11,5%. Al massimo potrà avvicinarsi al 30%. Ma anche se si portasse sopra il 29,9%, facendo scattare l’obbligo di lanciare un’offerta pubblica sull’intera società, sbatterebbe ancora una volta contro il rifiuto di Exor, che dalla Juventus ha il 65,4% e non vuole farsi da parte. Il savonese quarantunenne e ultra-juventino Paolo Ardoino, ceo di Tether, dovrà farsene una ragione: se Elkann non mente, nemmeno i 181 miliardi di dollari dichiarati da Tether a garanzia delle sue stablecoin sarebbero sufficienti.
Forse è un peccato, e non tanto per il miliardo di dollari di investimenti per il rilancio del club promessi da Tether (una cifra che può avere fatto sognare qualche tifoso bianconero), ma perché per com’è messo il calcio europeo il passaggio a un gruppo delle criptovalute del controllo di un primo grande club porterebbe quantomeno un elemento di chiarezza. È da anni, infatti, che le società hanno accettato che il mondo delle scommesse, sportive o finanziarie, rappresenti una parte rilevante del business del calcio. Lo hanno accettato perché il business è disastroso, conviene ricordarlo: l’ultimo report dell’Uefa sulla finanza dei club europei nota un miglioramento nei risultati, passati da una perdita cumulata di 3,3 miliardi di euro nel 2022 a “soli” 1,2 miliardi nel 2023, con l’Inghilterra, patria della Premier League, cioè il torneo nazionale più seguito, che da sola segna un rosso di quasi 900 milioni. La stessa Exor ha dovuto immettere circa 676 milioni di euro nella Juventus negli ultimi dieci anni per coprire le perdite della squadra. Si fa molta retorica sul valore degli stadi di proprietà o sui club gestiti come imprese, ma la realtà economica del calcio resta quella di un settore cronicamente in perdita tenuto in vita – salvo rari casi virtuosi – dall’immissione dall’esterno di enormi quantità di denaro. Le difficoltà di Dazn, che ha comprato molti dei diritti televisivi più ambiti per trasmettere le partite ma non è ancora riuscita a trovare un equilibrio economico, ci ricordano che nemmeno il calcio come spettacolo è un buon affare (e questo nonostante i prezzi, salati, degli abbonamenti). L’unica grande attività economica legata al pallone che sembra funzionare molto bene, al di là dei conti correnti più che floridi dei calciatori, sembra essere quella delle scommesse, con una raccolta globale stimata in oltre 100 miliardi di dollari, di cui 16 solo per la nostra Serie A. I grandi protagonisti del settore betting, come Flutter o Entain, a differenza dei club di calcio sono solidamente in utile.
È lì ormai che sta il grosso dei profitti legati al mondo del pallone. Per capirlo basta vedere le pubblicità delle scommesse durante le partite, i trend di Google sulle ricerche sul web, lo spazio che le “quote” per scommettere hanno nelle “notizie” del giornalismo sportivo. È sufficiente guardare le maglie delle squadre: una recente analisi di Sportingpedia sui settori in cui operano i principali sponsor di maglia delle squadre nei cinque principali campionati europei mostra che al primo posto, con 12 club, ci sono i “viaggi” (sostanzialmente le compagnie aeree degli emiri), mentre al secondo posto, a pari merito con 11 club ognuno, ci sono i settori delle scommesse e della finanza.
Ed è proprio a metà tra questi mondi, quello della finanza e quello delle scommesse, che è esploso il successo di Tether, società con base a El Salvador e conti bancari alle Bahamas. L’impresa guidata da Ardoino ha creato la più utilizzata delle stablecoin, cioè le criptovalute dal valore fisso (in questo caso legato a quello del dollaro), utilizzate sulle piattaforme online per investire sulle altre crypto. Per quanto il settore delle criptovalute si sforzi di darsi l’aria di rispettabilità e di professionalità della finanza “tradizionale”, l’assenza di fondamentali di mercato realistici e di valore intrinseco, l’alta volatilità, le forti aspettative di guadagni rapidi e l’utilizzo di tecniche spericolate di coinvolgimento degli utenti le rendono, secondo regolatori, studi accademici e autorità di vigilanza, una creatura molto più simile al gioco d’azzardo. Nel grande casinò delle criptovalute, i tether sono le fiches più popolari e Tether, come società, è uno dei paròn. Se di scommesse il calcio ha scelto di vivere, non stupirebbe che il controllo dei club finisse nelle mani di chi quel mondo lo capisce meglio.

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